Leiris / Augé / Roma

Roma, città dorata anziché nera e bianca […]; Roma, che per lungo tempo ho conosciuto […] attraverso le Antichità e le Carceri di Piranesi, ma di cui ho recente esperienza diretta, che ho avuto modo di percorrere, sulle prime in preda a una sorta di angoscia (l’isolamento che sempre più avverto nelle grandi città), poi alla gioia dinnanzi a una tale profusione di bellezze (blocchi di civiltà diverse sovrapposti in uno straordinario disordine, appollaiati gli uni sugli altri e che crescono come vorrei crescesse la mia immaginazione). […] Roma fu regina del mondo antico come tuttora, con la sua truppa di preti ingonnellati è il fulcro della cristianità. […]
Ché, se a Roma ho visto un popolo di alti arcangeli (statue antiche o barocche quali le statue che punteggiano il ponte di fronte a Castel Sant’Angelo e han l’aria di tuffarsi nel Tevere ogni qualvolta un nuotatore dello stabilimento lì a fianco si butta in acqua, e non c’è neppure bisogno, perché l’errore prenda corpo, che il tizio così trasmutato in creatura supposta divina esegua un cosidetto “volo d’angelo”), e se ho udito, all’aria aperta degli spettacoli d’opera estivi, voci umane ergersi a cariatidi sonore dell’attesa e del rimpianto, mentre nel blocco compatto della notte la illuminazione scenica apriva un alveolo di luce ove persone e cose acquistavano un rilievo insospettato […].

Leiris, Biffures, p. 276

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Con la valorizzazione dei Fori Imperiali il regime fascista volle rendere esplicita la sua concezione dell’Italia e della storia. Via dei Fori Imperiali è un esempio di quello che Habermas chiama “ uso pubblico della storia “, il quale – nel caso in esame – collega Roma fascista alla Roma imperiale. […] Anche se gli archeologi o i politici che vogliono fare un uso pubblico della storia ne sono inconsapevoli, il risultato è sempre un paesaggio, cioè la riunione di temporalità diverse. Quando vi si mescola, come oggi a Roma, una presenza insistente della natura (non solo i parchi, i giardini, i chiostri, le colline boscose, ma anche le erbacce e i papaveri che si intrufolano nel cuore stesso della città, invadendo i lungotevere e i siti archeologici), si ha l’impressione (soprattutto al calar della notte, quando le attività si fanno più discrete e i passanti più rari) di una sorta di immensa rovina senza età, nella quale chi passeggia innocente può provare il puro godimento di un tempo che nessun monumento e nessun sito riescono a imprigionare.

Marc Augé, Rovine e macerie