Bach / Busoni

Tout bruit était alors renvoyé au néant silencieux : le raclement sourd du fauteuil traîné sur le sol, le grattement de la plume sur le papier, le tintement de l’encrier où elle retournait régulièrement chercher son encre. Un chant grave bourdonnait parfois dans la gorge du maître pour matérialiser la mélodie à l’épreuve du souffle. Le feu craquait dans le poêle ou la cheminée comme pour battre une mesure indé­cise. Il n’y avait pas de pendule.

[Armand Farrachi, Bach, dernière fugue, coll. L’un et l’autre, Gallimard 2004]

CLAUDE SIMON

in Piero della Francesca: quell’avvizzimento caratteristico di quasi tutti i volti e che non dipende tanto dalla morfologia primaria (facies del bruto – natura nella soldataglia –, dell’avvelenatore, del bellimbusto, del cinedo, come, per esempio, in La vittoria di Eraclio su Cosroe, quel paggio che suona la tromba, un adolescente a prima vista ma, esaminato più a lungo, con una pesantezza opaca nello sguardo, occhi cerchiati e impassibilità) quanto da qualcosa che li abbia prematuramente, subdolamente logorati, segnati. Come una tara. La ricchezza. O il potere. Espressione simile sulle fotografie delle stelle cinematografiche o dei miliardari. Come una specie di maschera, appiccicata. Secondo volto, in sovrimpressione, sovrapposto per così dire a dei lineamenti originariamente belli. Le donne (la Vergine stessa) hanno occhi con le palpebre grevi, segrete, dalla fessura sinuosa per cui filtrano, più subdoli che pudichi, sguardi obliqui. Anche le labbra dall’aria altera, sdegnosa. Donne-bambine, consapevoli del loro prezzo. Del resto tutto è prezzo qui, ostentato, insolente: le armature, gli abiti, i colori raffinati, le acconciature di forma stravagante…

[Claude Simon, La battaglia di Farsalo, Einaudi 1987, pp. 126-127]

Piero della Francesca LVC

DELEUZE / GHÉRASIM LUCA

Gilles Deleuze: Un manifesto di meno

Balbettare, in genere, è un disturbo della parola. Ma far balbettare il linguaggio è un’altra cosa. Significa imporre alla lingua, a tutti gli elementi interni della lingua, fonologici, sintattici, semantici, il lavorio della variazione continua. Credo che Ghérasim Luca sia uno dei più grandi poeti francesi di ogni tempo. Non lo deve di certo alla sua origine rumena, ma si serve di tale origine per far balbettare il linguaggio in se stesso, con se stesso, per portare la balbuzie nel linguaggio stesso, e non nella parola. Si legga o si ascolti il poema Passionnément, pubblicato nel libro di Luca Chant de la Carpe, e che è stato registrato su disco. Non è stata mai raggiunta una tale intensità nella lingua, né un uso così intensivo del linguaggio. Una recita in pubblico dei poemi fatta da Ghérasim Luca è un avvenimento teatrale completo e meraviglioso. Allora, essere uno straniero nella propria lingua… Ciò non vuol dire parlare «come» un irlandese o un rumeno parlano francese. Non sarebbe il caso né di Beckett, né di Luca. È imporre alla lingua, in quanto la si parla perfettamente e sobriamente, quella linea di variazione che farà di ognuno di noi uno straniero nella sua propria lingua, o della lingua straniera, la nostra, o della nostra lingua, un bilinguismo immanente per la nostra estraneità.

[Carmelo Bene – Gilles Deleuze, Sovrapposizioni, Quodlibet 2002, 2012, p. 101]

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