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Qualsiasi scrittura comporta dell’atletismo, ma questa virtù atletica, lungi dal riconciliare la letteratura con gli sport o dal fare della scrittura una disciplina olimpica, si esercita nella fuga e nella defezione organiche. Uno sportivo a letto, diceva Michaux. Si diventa animale proprio in quanto l’animale muore e ne ha il senso o il presentimento. La letteratura incomincia con la morte del porcospino, secondo Lawrence”, o con la morte della talpa, secondo Kafka: “ Le nostre povere zampette rosse tese a invocare una tenera pietà”. […]
La letteratura incomincia solo quando nasce in noi una terza persona che ci spoglia del potere di dire Io (il “neutro” di Blanchot). […]
Così lo scrittore in quanto tale non è malato, ma piuttosto medico, medico di se stesso e del mondo. Il mondo è l’insieme dei sintomi di una malattia che coincide con l’uomo. La letteratura appare allora come un’impresa di salute: non che lo scrittore abbia necessariamente una salute vigorosa (ci sarebbe a questo proposito la stesa ambiguità dell’atletica), ma gode di un’irresistibile salute precaria che deriva dall’aver visto e sentito cose troppo grandi, troppo forti per lui, irrespirabili, il cui passaggio lo sfinisce, ma gli apre dei divenire che una buona salute dominante renderebbe impossibili. […]
[Gilles Deleuze, Critica e clinica, Cortina 1996, pp. 13-19]
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