Francis Ponge et les surréalistes / Ghérasim Luca

youtube=http://youtu.be/l9UMQkREdec

« Remplacer le ô lyrique par le signe arithmétique de l’infini ∞ (le 8 couché) »
[Francis Ponge]

« Un héros / infini / dont la houle cachée / jette un tissu de mots / – un infime drap de mort – /
sur le nu d’une muette / couché comme un huit / dans les bras du zéro »
[Ghérasim Luca]

« Un certain gâtisme : naïveté retrouvée / repartir du balbutiement, / du zéro »
[Francis Ponge]

“Zéro (héros) éros, sans centre”
[Ghérasim Luca]

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http://www.pileface.com/sollers/article.php3?id_article=432#section2

http://www.le-terrier.net/txt/spip.php?rubrique19

http://remue.net/spip.php?article667

Arno Schmidt / Cosma ovvero La montagna del Nord

La montagna del nord: « La sua ombra sulla Terra Interna è ergo ciò che noi chiamiamo < notte >; in estate esso (il sole) è più alto, la montagna si rastrema verso la vetta: di conseguenza le notti diventano più brevi, le escursioni della sera e del mattino più ampie – perché l’astro non può restare celato a lungo dietro la cima! Quanto più si avvicina la stagione invernale, tanto più in basso esso cala: la montagna si fa più larga, quindi le notti acquistano in lunghezza! » (Per la luna, il contrario; essa si innalza durante l’inverno, mentre il sole striscia rasente sopra la foresta meridionale).

[Arno Schmidt, Cosma ovvero La montagna del Nord, in Alessandro o Della verità, Einaudi, 1965 e 1981]

J. THIBAUDEAU / OUVERTURE

Nel cielo, nel cielo i pini si dondolano soli, e il vento non è che folate improvvise e calme di freddo,mentre apriamo le imposte delle camere, e la luce a fiotti, in tutte le stanze chiuse, si affretta a sommergere i resti della notte, e si mettono le lenzuola sui davanzali delle finestre, perché prendano aria

(p. 30)

Eppure, chi si mettesse a otto o dieci passi, una mattina, agrimensore ideale della memoria, nel pieno sole, che fa chiudere gli occhi – si può, tra le ciglia, ogni altra cosa intorno assente, sottratta, può alla fine incontrare

(p. 36)

Queste terre che vediamo sono visibili da differenti punti della città, da certe strade in discesa, all’improvviso. Verdi e bruni, i colori d’una carta geografica. Prati, campi, orti, vigne sul margine della foresta. Poggi, su cui potremmo salire. Dove andiamo, per le strade tranquille, oltre i sobborghi fioriti della città, a svolte

Un castello. Il muro attraverso i campi. Il ponte, il fiume, il riparo degli alberi ed il piccolo stagno in mezzo al prato. La strada bianca. I frutti nella siepe. E sappiamo che al di là, e da tutte le parti, un frammento dopo l’altro come qui, nella stessa maniera, il mondo continua lontanissimo per ritornare qui, è infinito e rotondo

(p. 44)

[da : J. Thibaudeau, Ouverture, Einaudi 1969].


Guido Neri nella postfazione osserva che “Autobiografia vale qui come l’opposto di ciò che intendiamo comunemente per racconto biografico. Dietro il libro non c’è una personalità che si esponga come tale, garantendo la congruenza della finzione a un supporto di verifiche fisiologiche definito memoria: c’è, di istituzionale, solo un nome, una firma, e sul piano funzionale un io inteso come semplice modalità grammaticale…”

http://remue.net/spip.php?article5347

Walter Benjamin / I «passages» di Parigi

Victor Hugo a proposito delle difficoltà che intralciavano i lavori di canalizzazione di Parigi: «Paris est bâti sur un gisement étrangement rebelle a la pioche, a la houe, a la sonde, au maniement humain. Rien de plus difficile à percer et à pénétrer que cette formation géologique à laquelle se superpose la merveilleuse formation historique, nommée Paris; dès que… le travail s’engage et s’aventure dans cette nappe d’alluvions, les résistances souterraines abondent. Ce sont des argiles liquides, des sources vives, des roches dures, de ces vases molles et profondes que la science spéciale appelle moutardes. Le pic avance laborieusement dans des lames calcaires alternées de filets de glaises très minces et de couches schisteuses aux feuillets incrustés d’écailles, d’huîtres contemporaines des océans préadamites». Victor Hugo, Œuvres complètes, Roman 9, Paris 1881, pp. 178-79 (Les Misérables).

«Rien n’égalait l’horreur de cette vieille crypte exutoire,.. antre, fosse, gouffre percé de rues, taupinière titanique où l’esprit croit voire rôder a travers l’ombre… cette énorme taupe aveugle, le passé». Victor Hugo, Œuvres complètes, Roman 9, Paris 1881, pp. 173-74 (Les Misérables; L’intestin de Léviathan).

[W. Benjamin, I «passages» di Parigi, Volume primo, p.461, Einaudi 2002)

« Sulla letteratura » / H. Heissenbüttel

 

Estratto da “Sulla letteratura” di  Heissenbüttel che già nel 1966 faceva il punto sul futuro della poesia… indicando la via…

 

 

1. “Des mots, des groupes de mots, des phrases s’organisent en fonction d’un je ne sais quoi qui, au début, échappe à mon appréhension conceptuelle. Et pourtant ces bouts de phrases sont comme des traits de lumière qui transpercent ma cécité foncière. Le principe selon lequel ces détails se combinent (ce qu’on appelle principe formel) est d’ordre thématique. Le thème est toujours en la circonstance ce qui, par sa capacité de réunir et d’assembler, éclaire en concrétisant (il ne se définit pas par le contenu)”.

 

“Parole, gruppi di parole, frasi che s’organizzano in funzione di un non so che, che, all’inizio, sfugge alla mia comprensione concettuale. E tuttavia questi pezzi di frasi sono come lineedi luce che trapassano la mia innata cecità. Il principio secondo cui questi dettagli si combinano (ciò che chiamiamo principio formale) è di ordine tematico. Il tema è sempre nella circostanza quello che, per la sua capacità di riunire e di assemblare, illumina concretizzando (non si definisce per il contenuto)”.

 

2. “D’une part on s’efforce par principe, dans un dessein conservateur, de sauver ce qui reste à sauver. Mais ces tentatives ne sauvent rien du tout, elles ne font que souligner le dilemme. De l’autre, les éléments du langage, que ce soit des vocables, ou des phonèmes, ou des fragments de phrases isolés, ou des schémas syntaxiques abstraits condensés en formules, sont par erreur considérés comme un simple matériau, de simples pierres dont on peut user à volonté. Cette réaction elle aussi ne conduit manifestement pas à la solution, mais bien au contraire à l’aggravation du dilemme”

 

“Da un lato ci si sforza per principio, in un progetto conservatore, di salvare ciò che resta da salvare. Ma questi tentativi non salvano proprio niente, non fanno che sottolineare il dilemma. Dall’altro, gli elementi del linguaggio, che siano dei vocaboli, dei fonemi, dei frammenti di frasi isolate, o degli schemi sintattici astratti condensati in formule, sono erroneamente considerati come un semplice materiale, semplici pietre di cui ci si può servire a volontà. Anche questa reazione non porta evidentemente ad alcuna soluzione, ma al contrario all’aggravamento del dilemma”.

 

3. “Ce qu’on lit mot pour mot révèle souvent son sens avant que l’on puisse le formuler clairement. Et puis ces structures sont ouvertes. De part leur nature elles appellent une réplique dans l’imagination verbale du lecteur ou de l’auditeur. Le fait qu’elles soient ouvertes, et non fermées selon des modèles formels comme ceux de la poésie conventionnelle, cela me paraît être un signe de confiance en soi. Mais on apprend par cœur à reconnaître, plus aisément qu’on ne le croit, les limites de l’arbitraire. Il faut seulement se plonger une bonne fois dans ce genres de structures. Ce qui s’élimine garde alors un sens en tant qu’exercice”

 

“Ciò che si legge parola per parola rivela spesso il suo senso prima che si possa formularlo chiaramente. E poi queste strutture sono aperte. Per loro natura chiedono una replica nell’immaginazione verbale del lettore o dell’ascoltatore. Il fatto che siano aperte, e non chiuse secondo modelli formali propri della poesia convenzionale, ciò mi sembra essere di per sé un segno di fiducia. Ma s’impara presto a riconoscere, più facilmente di quanto non si creda, i limiti dell’arbitrario. Bisogna soltanto immergersi una buona volta in questo genere di strutture. Ciò che si elimina conserva allora un senso in quanto esercizio”.

 

[trad. mia dal francese].

LA FINE DEL MONDO / Ghérasim Luca

Da Un Loup à travers une loupe

Le tue passeggiate chiromantiche nelle linee della mia vita mi proiettano in un futuro che è il mio solo presente.
Adoro il tuo corpo, adoro la tua ombra, ma scambio facilmente la tua gamba per i geroglifici che il tuo passo lascia sulla sabbia.

*

Tes promenades chiromanciennes dans les lignes de ma vie me projettent dans un avenir qui est mon seul présent.
J’adore ton corps, j’adore ton ombre, mais j’échange facilement ta jambe pour les hiéroglyphes que ta démarche laisse dans le sable.

*

UN LUPO ATTRAVERSO UNA LENTE

“Un lupo attraverso una lente” è stato scritto in romeno nel 1942 e edito nel 1945. A differenza de “L’inventore dell’amore”, l’edizione francese del 1998 ha mantenuto la forma in prosa. I testi sono dominati da una serrata dialettica onirica che supera il “satanismo poetico” di Lautréamont.
Un lupo attraverso una lente è un inno alla notte, dove ‘l’uccello innominato e indicibile’ comincia a assorbire la notte, un canto per celebrare il buio. Perché il nero è il colore dell’increato, dell’inesistenza che sopprime l’impulso iniziale sporcato dal mito castrante di Edipo” [P. Raileanu, Ghérasim Luca, Oxus 2004]

*

[Ghérasim Luca, La Fine del mondo (Poesie 1942-1991)” – a cura di Alfredo Riponi, tr. it. di A. Riponi, Rita R. Florit, Giacomo Cerrai; Librairie José Corti e Joker Edizioni “I Libri dell’Arca”, 2012]

link:

http://www.artcotedazur.fr/chronique-d-un-galeriste,5295.html ;

http://www.artcotedazur.fr/chronique-d-un-galeriste,5298.html

Ghérasim Luca – Carmelo Bene / La Morte morta

Da: LA MORT MORTE / Ghérasim Luca

La présence permanente de la mort
dans la nuit funéraire de mon être
ne prendra jamais, en tant que nécessité
les aspects paralysants de la mort
inventée par le Créateur
cette mort (cette vie) structurellement
religieuse disparaîtra avec la dernière
répression

La mort que je contiens comme une nécessité
comme la soupape du désespoir
comme une réplique de l’amour et de la haine
comme un prolongement de mon être

[ Ghérasim Luca / L’Inventore dell’amore seguito da La Morte morta, Librairie José Corti, 1994]

*

La presenza permanente della morte
nella funerea notte del mio essere
non prenderà mai, in quanto necessità
gli aspetti paralizzanti della morte
inventata dal Creatore
questa morte (questa vita) strutturalmente
religiosa scomparirà con l’ultima
repressione

La morte che porto in me come una necessità
come la valvola della disperazione
come una rappresentazione dell’amore e dell’odio
come un prolungamento del mio essere

[tr. a. r.]

youtube=http://youtu.be/i77SdtWnCMU

Deleuze

Gilles Deleuze (Parigi, 18 gennaio 1925 – Parigi, 4 novembre 1995)

« Oui, le mourir s’engendre dans nos corps, il se produit dans nos corps, mais il arrive du Dehors, singulièrement incorporel, et fondant sur nous comme la bataille qui survole les combattants, et comme l’oiseau qui survole la bataille. L’amour est au fond des corps, mais aussi sur cette surface incorporelle qui le fait advenir. Si bien que, agents ou patients, lorsque nous agissons ou subissons, il nous reste toujours à être dignes de ce qui nous arrive. C’est sans doute cela, la morale stoïcienne : ne pas être inférieur à l’événement, devenir le fils de ses propres événements. La blessure est quelque chose que je reçois dans mon corps, à tel endroit, à tel moment, mais il y a aussi une vérité éternelle de la blessure comme événement impassible, incorporel, « Ma blessure existait avant moi, je suis né pour l’incarner. » Amor fati, vouloir l’événement, n’a jamais été se résigner, encore moins faire le pitre ou l’histrion, mais dégager de nos actions et passions cette fulguration de surface, contr’effectuer l’événement, accompagner cet effet sans corps, cette part qui dépasse l’accomplissement, la part immaculée. Un amour de la vie qui peut dire oui à la mort. C’est le passage proprement stoïcien. Ou bien le passage de Lewis Carroll : il est fasciné par la petite fille dont le corps est travaillé par tant de choses en profondeur, mais aussi survolé par tant d’événements sans épaisseur. Nous vivons entre deux dangers : l’éternel gémissement de notre corps, qui trouve toujours un corps acéré qui le coupe, un corps trop gros qui le pénètre et l’étouffe, un corps indigeste qui l’empoisonne, un meuble qui le cogne, un microbe qui lui fait un bouton; mais aussi l’histrionisme de ceux qui miment un événement pur et le transforment en fantasme, et qui chantent l’angoisse, la finitude et la castration. Il faut arriver à « dresser parmi les hommes et les œuvres leur être d’avant l’amertume ». Entre les cris de la douleur physique et les chants de la souffrance métaphysique, comment tracer son mince chemin stoïcien, qui consiste à être digne de ce qui arrive, a dégager quelque chose de gai et d’amoureux dans ce qui arrive, une lueur, une rencontre, un événement, une vitesse, un devenir? « A mon goût de la mort, qui était faillite de la volonté, je substituerai une envie de mourir qui soit l’apothéose de la volonté. »

[Gilles Deleuze – Claire Parnet, Dialogues, Champs Flammarion, 1996, pp. 79-80]

 

COCTEAU / ANTI-EDIPO

Jean COCTEAU
Le complexe d’Œdipe – 1924
Plume et encre de Chine, lavis d’encre de Chine
Crayon graphite sur papier vélin (25.1 x 32.7 cm)
Musée Jean Cocteau collection Séverin Wunderman
© ADAGP, Paris 2011

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Da L’anti-Edipo / Deleuze e Guattari

La schizoanalisi non si propone di risolvere Edipo, non pretende di risolverlo meglio di quanto non si faccia nella psicanalisi edipica. Essa propone di disedipizzare l’inconscio, per toccare i veri problemi. Essa si propone di raggiungere le regioni dell’inconscio orfano, appunto «al di là di ogni legge», ove il problema non può neanche più esser posto. [p. 90]

Così il Piccolo-Bianco figlio di pionieri, l’Irlandese protestante che commemora la vittoria dei suoi antenati, il fascista della razza dei padroni. Edipo dipende da un sentimento nazionalistico, religioso, razzista, e non il contrario: non è il padre che si proietta nel capo, ma il capo che si applica al padre, per dirci «non supererai tuo padre», oppure «lo supererai ritrovando i nostri antenati». [p. 115]

Quando riconduciamo il desiderio ad Edipo, ci condanniamo ad ignorare il carattere produttivo del desiderio, lo condanniamo a vaghi sogni o immaginazioni che non ne sono che espressioni conscie, lo riconduciamo ad esistenze indipendenti, il padre, la madre, i genitori, che non comprendono ancora i loro elementi come elementi interni del desiderio. La questione del padre è come quella di Dio: nata dall’astrazione, essa suppone rotto il legame tra uomo e natura, il legame tra uomo e mondo, cosicché l’uomo deve essere prodotto come uomo da qualcosa di esterno alla natura e all’uomo: Su questo punto Nietzsche fa un’osservazione del tutto simile a quelle di Marx o di Engels: « Scoppiarne dal ridere al solo vedere fianco a fianco l’uomo e il mondo, separati dalla sublime pretesa della paroletta e». [p. 119]