peter handke

«Non era guarito dalla sua fonofobia? … Il più piccolo, il più innocuo dei suoni poteva giungere alle sue orecchie come un rumore disturbante, chiudergli la bocca, serrargli la gola, mozzargli respiro e parola? E persino un suono in cui chiunque avrebbe invece udito qualcosa di aperto, di amichevole, di francamente ben disposto nei riguardi del parlatore, un tono, il tono dell’attesa disinteressata, un’armonia fin dall’inizio, gli tagliava immediatamente le vie respiratorie, si materializzava come corpo estraneo nella trachea?» .(P. Handke, La notte della Morava, Garzanti 2012, cit. in AA. VV., Louis Wolfson. Cronache da un pianeta infernale, Manifestolibri 2014, pp. 212-213)

P. Handke

Concordavano di nuovo sul fatto che, qualunque fosse la ragione, il suono più delicato poteva piombarti addosso rumorosamente e che talvolta il silenzio stesso si amplificava in un frastuono di fronte al quale ti saresti voluto rifugiare in un fracasso vero e proprio. Così come non riuscivi a liberarti di determinate immagini, sebbene da un pezzo fossero molto distanti nel tempo e nello spazio, anche un fracasso vissuto come pericoloso e ostile, dopo essere ammutolito nel mondo esterno continuava ad agire dentro di te. Il silenzio non si attuava più. II ronzio dei giorni seguitava a ronzare anche di notte, nei sogni. Lo stridio del metallo contro il metallo ti perseguitava fin nel deserto.

[da: P. Handke, La notte della Morava, Garzanti, p. 102]