la mente estatica | elvio fachinelli

«Nel centro del vuoto, quando l’io si perde, pienezza. Il vuoto si capovolge in pieno; l’assenza in presenza. Totale cambiamento tra il prima e il dopo. Vuoto non è simmetrico di pieno».

[Elvio Fachinelli, La mente estatica, Adelphi 1989]

*

Il libro di Fachinelli individua nella frammentarietà, ma una frammentarietà che è un tentativo di oltrepassamento, l’abbandono del gesto totalizzante della conoscenza, e il suo recupero in una direzione infinita, che è la dimensione del desiderio (e della cura). All’origine del problema della conoscenza, scrive Fachinelli, per Freud e Lacan, c’è la scomposizione del “complesso percettivo primario”, da una parte la percezione del proprio corpo, attraverso il movimento o il grido; dall’altra ciò che resta per sempre estraneo al sé (l’Oggetto, l’Altro, la Cosa).

compact | maurice roche

3. Sarò morto tanto a lungo quanto chiunque altro…

Sarò morto tanto a lungo quanto chiunque altro, e tuttavia all’ora attuale sono vivo. Ho pregato fino a mezzanotte e sono stanco morto. Ho fame.  

Senza arrivare a dimenticare completamente che occupo, disteso su un giaciglio, una mansarda di hotel (via Gît-le-Cœur, nel cuore di Parigi), mi immagino giacente di marmo in fondo a una cripta oscura. Sento le orazioni, le litanie confuse e, a notte alta come un tempo, la voce di mia madre, venuta da lontano dalle profondità… i resti di una ninnananna   

«il mercante di sabbia che passa…»)  

Si preme l’interruttore della lampada da notte «un guasto alla corrente?» Un fiammifero (i fiammiferi sulla mensola) si sfrega un fiammifero senza produrre la più piccola scintilla. Si può supporre che i fiammiferi siano umidi. Non si vede niente.  

«Amaurosi (si pensa alle parole del medico) amaurosi nel paese dei ciechi, in piena democrazia! Qui ci si sposta in filigrana in uno spazio senza riflessi; e gli specchi in braille, non esistono…»

…………………………………………… 

**

3. Je serai mort aussi longtemps que n’importe qui…

Je serai mort aussi longtemps que n’importe qui, et cependant à l’heure présente je suis vivant. J’ai prié jusqu’à minuit et je suis crevé. J’ai faim.

Sans arriver à oublier complètement que j’occupe, couché sur un grabat, une mansarde d’hôtel (rue Gît-le-Cœur, en cœur de Paris), je m’imagine gisant de marbre au fond d’une crypte obscure. J’entends les oraisons, les litanies brouillées et, au haut de la nuit comme jadis, la voix de ma mère, venue de loin des profondeurs … les restes d’une berceuse

            «le marchand de sable qui passe… »)

On presse l’olive de la lampe de chevet « une panne de courant ? » Une allumette (les allumettes sur la tablette) on frotte une allumette sans arracher la moindre lueur. On peut supposer que les allumettes sont humides. On ne voit rien.

« Amaurose (on songe aux propos du médecin) amaurose au pays des aveugles, en pleine démocratie ! Ici on se déplace en filigrane dans un espace sans reflets ; et les miroirs en braille, ça n’existe pas… »

…………………………………………… 

[Maurice Roche, Compact, Tristram 1993, CD, trad. it. A. Riponi]

**

La lettura di Maurice Roche (15 febbraio 1990; Tristram 1993) mantiene la costruzione polifonica dell’originale, la simultaneità delle voci. Le varie soluzioni tipografiche corrispondono a differenti voci mentali. C’è questo passaggio – come scrive Jean-Louis Baudry – «dalla vista all’udito, dall’ascolto interiore all’audizione esteriore». Come se l’autore si riappropriasse di un testo lasciato all’interpretazione silenziosa del lettore. La voce di Maurice Roche si modula su vari registri «voce profonda e fluida, seducente e persuasiva, drammatica, ironica, commovente e confidenziale, voce capace di trasformare un momento panico in irresistibile umorismo catastrofico, fino a diventare così profonda da sembrare uscire dall’oltretomba». «Libro memorabile dell’assenza personale – lo definirà Denis Roche – e allo stesso tempo la più lancinante delle autobiografie».

[da: Postilla a Compact di Maurice Roche, Anterem 95/2017]

PS: Compact (Seuil 1966) fu tradotto nel 1970 per Lerici da Carla Vasio.

un ricordo d’infanzia di piero della francesca | hubert damisch

Che la nascita virginale (partenogenesi) potesse essere considerata un segno della divinità è un tratto che era già presente nella cultura ebraica: la profezia di Isaia invocata nel vangelo di Matteo, attraverso la voce dell’angelo che appare in sogno a Giuseppe per dissuaderlo dal ripudiare Maria, intendeva esplicitamente questo: «Ecco, la giovane vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emmanuele» (Is 7,14).

I vangeli canonici riservano solo una piccola parte a Maria, che non sempre viene presentata nella luce più positiva. Il racconto dell’infanzia di Cristo, come si può leggere nel Vangelo di Luca, costituisce tuttavia la fonte primaria dei grandi “misteri” legati alla figura della Vergine e alla sua persona. Dei quattro dogmi: della Maternità Divina, della Verginità postpartum, dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, solo il primo ha la sua fonte inequivocabile nei Vangeli di Matteo e Luca. Ma tanto basta per fare appello all’immaginario che qualifichiamo un po’ troppo frettolosamente come “popolare”: perché i Padri della Chiesa e i teologi non sono da meno e hanno fatto meglio e di più che rispondere alle attese dei loro lettori. E come avrebbe potuto essere altrimenti, dal momento che i problemi che dovevano affrontare erano in stretto rapporto con la questione che secondo Freud era la più antica e scottante della giovane umanità?

Come fa, per andare a fondo – se così posso dire – del “tema” della Madonna del Parto, Pozzi attenendosi rigorosamente alla formula che la letteratura spirituale gli offre e che gli sembra tradurre più fedelmente il “messaggio”: ovvero qualcosa tra il “corpus Mariae quasi tabernaculum”, tratto dal commento ai Salmi dello pseudo-Girolamo, il “tabernaculum Filii Dei”, che concorda con il dogma di Maria theotokos, “madre di Dio”, e il “Verbum infans”, il Verbo fatto carne – il verbo in-fans, il verbo che non ha (o non ha più) parola, il verbo fatto immagine – che lo conferma. Sicché la Madonna del Parto non sarebbe altro che la traduzione in termini figurativi del mistero dell’Incarnazione. La denominazione “Maria-tabernacolo” si applicherebbe all’icona come farebbe una carta trasparente (lucido).

Come sottolinea Pozzi, parola e immagine corrispondono ad articoli fondamentali della dottrina cristiana, l’incarnazione del Verbo costituendo il fondamento teologico che conferisce all’immagine la sua legittimità in rapporto alla parola. Così come Dio creò l’uomo a sua immagine, l’invisibile si vede nella carne. Ma la questione della figurabilità assume in questo contesto un rilievo singolare, attraverso la torsione di una formula mariana citata da Pozzi: se il Cristo non potesse essere rappresentato nell’arte, ciò significherebbe che sarebbe nato solo dal Padre, e non dalla madre: se la madre è figurabile, il figlio a sua volta deve esserlo. La formula si presta a un’inversione risolutamente “moderna”, quella operata da Jean-Luc Godard, nel preludio al suo film Je vous salue Marie: e se la madre stessa fosse mostrata solo attraverso il mutamento di questo corpo, di questa nascita che ha accolto? Questo ci rimanda al legame colto da Balzac ne Il Capolavoro sconosciuto, tra l’impossibilità di dipingere la donna e la questione, in generale, della figurabilità nel campo artistico: la Vergine – e, in quella che sarà la sua “storia”, il momento dell’attesa, quando il corpo del bambino non è ancora venuto alla luce.

La Madonna del Parto non guarda lo spettatore, racchiusa come sembra essere nel proprio sogno e occupata dall’unico evento di cui il suo corpo è il luogo, in una distanza invalicabile (immagine, come spiega ancora Jean-Luc Godard, della contraddizione che rende interessante il tema: perché non possiamo essere vicini alla Vergine?).

[Hubert Damisch, Un souvenir d’enfance par Piero della Francesca, Seuil 1997]

Trad. it. di A. Riponi

[Giovanni Pozzi, «Maria tabernacolo», in Sull’orlo del visibile parlare, pp. 17-88, Adelphi 1993]

[Jean-Luc Godard, Je vous salue, Marie, 1985]

kafka | artaud | marthe robert | l’heure nouvelle

“Una letteratura senza nome a immagine di un mondo innominabile, oppure niente più letteratura, era uno dei principali temi della nostra rivista l’Heure nouvelle, dove, senza tema di contraddirci, pubblicavamo, del resto, al tempo stesso dei testi di Kafka e le prime poesie che segnavano il ritorno di Antonin Artaud alla vita” (Marthe Robert, La vérité littéraire).

Tramite Marthe Robert e la rivista “L’Heure nouvelle” Kafka e Artaud s’incontrano virtualmente. Il parallelo tra Artaud redivivo e Kafka quasi dimenticato o malinteso è quanto mai utile a dire che soltanto uno scrittore “tornato in vita” dopo anni di segregazione manicomiale può riconoscere in tutta la sua forza il messaggio di Kafka su un universo concentrazionario.

diario scritto di notte | gustaw herling

Caravaggio dipinse la Morte della Vergine commissionatagli dalla chiesa di Santa Maria della Scala: la tela fu considerata scandalosa, forse blasfema, e venne rifiutata. Rappresenta la Vergine morta come una donna distrutta, logorata dalla vita, con il capo circondato da una sottilissima aureola: un segno di santità quasi innaturale in un’immagine così terrena della morte. Viene in mente la Madonna del Parto nella cappella del cimitero di Monterchi. Ma la contadina toscana di Piero della Francesca, con la veste aperta sul ventre gravido, conferisce all’affresco un accento di calma e solennità terrene, mentre in Caravaggio la fede si scontra violentemente con la vita e la morte umane.

[Gustaw Herling , Diario scritto di notte, Feltrinelli 1992]

*

En regardant Marianna adossée au poteau de la tonnelle, je pensai à La Madone enceinte de Piero della Francesca, dans la chapelle de Monterchi, plus âgée qu’elle, bien entendu, mais au visage agréable de paysanne, aux traits réguliers, et une expression de simplicité dans les yeux malgré leur regard aigu. Ou peut-être cette association me vint-elle du fait que Marianna avait sa robe ouverte sur le ventre exactement comme sur le tableau du Maître italien ; quelques boutons soulignaient son état comme si elle était proche de la délivrance.

[Gustaw Herling, Variations sur les ténèbres, Seuil 1999]