Bolaño / Kafka

“Lui che nelle notti insonni si suddivide nei singoli organi di cui aspetta i segnali, dei cui infausti movimenti è consapevole, ha bisogno di un metodo che al suo corpo prescriva l’unità. La medicina ufficiale gli sembra nociva perché si occupa troppo dei singoli organi. Il rifiuto della medicina è però anche in parte odio di se stesso: anche lui dà la caccia ai sintomi, quando la notte giace insonne.”

Elias Canetti, L’altro processo. Le lettere di Kafka a Felice, Guanda 1990

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Il mondo è tutto un caso. Secondo un mio amico, sbagliavo a pensarla così. Il mio amico diceva che per chi viaggia in treno il mondo non è un caso, anche se il treno sta attraversando territori sconosciuti al viaggiatore, territori che il viaggiatore non rivedrà mai più in vita sua. Non è un caso neppure per chi si alza alle sei del mattino morto di sonno e va al lavoro. Per chi non ha altra scelta che alzarsi e aggiungere altro dolore al dolore che ha già accumulato. Il dolore si accumula, diceva il mio amico, è un dato di fatto, e quanto più grande è il dolore, minore è il caso.”

Roberto Bolaño, 2666. vol. I , Adelphi 2007


Malattia e Kafka

A quanto racconta Canetti nel suo libro su Kafka, il più grande scrittore del XX secolo capì che i dadi erano gettati, e che ormai nulla lo separava dalla scrittura il giorno in cui per la prima volta sputò sangue. Che cosa voglio dire quando dico che ormai nulla lo separava dalla scrittura? Sinceramente, non lo so molto bene. Immagino di voler dire questo: Kafka capiva che i viaggi, il sesso e i libri sono vie che non portano da nessuna parte, eppure sono vie lungo le quali bisogna inoltrarsi e perdersi per ritrovarsi o per trovare qualcosa, qualunque cosa, un libro, un gesto, un oggetto perduto, per trovare un metodo, se si ha un po’ di fortuna: il nuovo, quello che è sempre stato lì.

Roberto Bolaño, conclusione a Letteratura + malattia = malattia

[in: Il gaucho insostenibile, ed. Sellerio]