il libro contro la morte | canetti

Quando mia madre morì, giurai a me stesso che avrei scritto il Libro contro la morte. Questo ho ritrovato ieri l’altro nelle mie lettere a Veza. Ho trascorso metà della notte a rileggerle (come ai vecchi tempi). Allora scrivevo anche che mia madre doveva diventare immortale. Nel frattempo lo è diventata, e anche la donna cui allora lo scrivevo, anche lei è diventata immortale. Finché esisteranno esseri umani, nessuno potrà privare dell’immortalità mia madre e nessuno Veza.

[Elias Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi 2017]

biancaneve (e i sette nani) | bettelheim

“Il titolo con cui la fiaba è oggi ampiamente conosciuta è Biancaneve e i sette nani: una versione espurgata che purtroppo mette l’accento sui nani, che, non sviluppandosi fino a raggiungere la maturità umana, sono bloccati in modo permanente a un livello pre-edipico (i nani non hanno genitori, né si sposano o hanno figli) e hanno l’unica funzione di mettere in risalto gli importanti sviluppi che hanno luogo in Biancaneve.” Ci possiamo subito domandare: da dove vengono i nani e a che scopo lavorano? I nani rappresentano il periodo di latenza sessuale per la bambina Biancaneve, in cui la figura maschile si autoriduce: il nano è, allo stesso tempo, un bambino e un lavoratore in miniatura. La favola di Biancaneve si articola sui miti di Edipo e Narciso. Del padre di Biancaneve non si sa nulla. Sappiamo soltanto che la madre muore mettendo al mondo Biancaneve e il Re  si risposò. Fare morire la madre prima che si produca la rivalità con la figlia è un espediente per allontanare dalla famiglia naturale la pietra d’inciampo di tipo edipico (le bambine desiderano sposare il padre sostituendosi alla madre) e narcisistico (la bambina che cresce mette a rischio il narcisismo della madre, diventa una rivale). Come scrive Bettelheim, a salvare la bambina è una figura paterna, che è il cacciatore. Ma una figura paterna inadeguata, perché abbandona la bambina nel bosco, lasciando agli animali feroci il compito di ucciderla. In molte favole è la figura materna ad essere prevaricatrice e l’uomo dominato. Nemmeno i nani possono rappresentare una figura paterna adeguata, perché lasciano da sola in casa Biancaneve per andare a lavorare. E fanno della bambina Biancaneve una massaia: chi non lavora non mangia. Biancaneve, come scrive Bettelheim, subisce le tentazioni in molti modi e non sempre resiste: Biancaneve “prova” i letti di tutti e sette i nani e resta a dormire nell’ultimo.  I nani pensano soltanto al lavoro, sono sette perché nella loro settimana non c’è neanche un giorno di riposo. Dovendo i nani mangiare ogni giorno, anche Biancaneve non può mai riposarsi. Quella del nano minatore è un’immagine fallica, perché così piccolo s’infila in tutti i buchi della terra: “sono bravi a penetrare in buchi oscuri”. Le tentazioni della Regina cattiva sono di tipo sessuale e Biancaneve soccombe.

“La storia di Biancaneve insegna che il fatto che un individuo abbia raggiunto la maturità fisica non significa necessariamente che sia preparato sotto gli aspetti intellettuale ed emotivo per l’età adulta, cosí com’è rappresentata dal matrimonio. Un considerevole sviluppo e molto tempo sono necessari prima che la nuova e piú matura personalità sia formata e i vecchi conflitti siano integrati. Soltanto allora la persona è pronta per un partner dell’altro sesso, e per i rapporti intimi con lui che sono necessari per il raggiungimento della maturità, della condizione di adulto. Il partner di Biancaneve è il principe che “la porta via” nella sua bara: questo le fa sputar fuori la mela avvelenata e la riporta in vita, pronta per il matrimonio. La sua tragedia aveva preso l’avvio da desideri incorporativi orali: il desiderio della regina di mangiare gli organi interni di Biancaneve. Biancaneve sputa fuori la mela che sta per soffocarla – il cattivo oggetto che aveva incorporato – e questo sancisce la sua definitiva liberazione dall’oralità primitiva, che compendia tutte le sue fissazioni immature.”

[Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, Feltrinelli 1977]

la genèse du phénomène | max loreau

Oubli de l’être, c’est en général un manque ; l’être s’est caché en devenant un objet et une limite de la pensée ; objet introuvable et obscur désormais, l’être s’est distrait et soustrait à la pensée : oubli de l’être. Pourquoi ? Parce que les objets nous sont donnés avant d’être pensés. Et pourtant, l’intuition, le rapport immédiat à l’objet, suppose un sujet affecté par quelque chose d’extérieur à lui ; que ce soit à travers la sensation (objet indéterminé) ou à travers la représentation (objet déterminé). Mais la représentation pure  (qui ne concerne pas la sensibilité, les sens) est le pouvoir que le sujet a d’être affecté par autre chose qu’un objet. Cette intuition pure, pure représentation, est la lumière.

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L’oblio dell’essere è generalmente privazione; l’essere si è nascosto diventando oggetto e limite del pensiero; oggetto ormai introvabile e oscuro, l’essere si è distratto e sottratto al pensiero: oblio dell’essere. Perché?  Perché gli oggetti sono dati a noi prima d’essere pensati. Tuttavia, l’intuizione, il rapporto immediato all’oggetto, suppone un soggetto affetto da qualcosa di esterno a lui; che sia attraverso la sensazione (oggetto indeterminato) o attraverso la rappresentazione (oggetto determinato). Ma la rappresentazione pura (che non riguarda la sensibilità, i sensi) è il potere che il soggetto ha di essere “affetto” da altro, che non sia l’oggetto. Questa intuizione pura, pura rappresentazione, è la luce.

[Max Loreau, La genèse du phénomène, Editions de Minuit, 1989]

ozio | matzneff

Oisiveté (3)

On ne lit plus guère Édouard de Hartmann, et on a tort. Philosophie de l’Inconscient, paru en 1869 (trois ans après l’Histoire du matérialisme de Lange), demeure un excellent livre. Hartmann y montre que tout ce qu’on écrit à la gloire du travail se borne à célébrer ses avantages économiques et son action moralisatrice. Hartmann compare l’homme qui accepte ce qu’il ne peut éviter et finit par aimer son état de servitude à un cheval qui, une fois dressé, « traîne avec assez de bonne humeur la charrette à laquelle il est attelé ».

Je connais par cœur le bavardage des idéologues sur « l’organisation du monde » et « la primauté de l’action » ; sur « la maîtrise du cosmos » qui, selon eux, figure l’aboutissement de la métaphysique occidentale. Soit, nous sommes en Occident, pour reprendre l’image de Hartmann, de bons dresseurs de chevaux. Y a-t-il là de quoi pavoiser ? Quand je considère que les deux tiers au moins de la planète sont plongés dans les ténèbres de la misère et du malheur, je m’interroge sur le succès de « l’organisation du monde » par l’Occident et je frémis à l’idée de ce que pourrait être sa « maîtrise du cosmos ». Pitié pour les Martiens !

Chacun sait le mot fameux de Frédéric II : « Si mes soldats commençaient à penser, aucun d’eux ne resterait dans les rangs. » Le roi de Prusse serait-il, lui aussi, un traître à l’aventure occidentale ? Ce qu’il disait hier de ses soldats, je le dis aujourd’hui des travailleurs aliénés et fiers de leur aliénation. Ce n’est pas l’organisation du monde que nous devons enseigner à nos cadets, mais celle de leur propre vie ; ce n’est pas la maîtrise du cosmos, mais la maîtrise de soi. Nos contemporains parlent trop et s’agitent trop. Il faut leur apprendre à aimer le silence et à faire oraison. Il faut réhabiliter l’oisiveté.

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Ozio (3)

Non leggiamo quasi più Eduard von Hartmann e sbagliamo. La Filosofia dell’Inconscio, pubblicata nel 1869 (tre anni dopo la Storia del materialismo di Lange), resta un libro eccellente. Hartmann mostra che tutto ciò che si scrive per elogiare il lavoro si limita a celebrarne i vantaggi economici e l’azione moralizzatrice. Hartmann paragona l’uomo che accetta ciò che non può evitare e finisce per amare il suo stato di servitù a un cavallo che, una volta addestrato, “trascina felice il carro a cui è aggiogato”.

Conosco a memoria le chiacchiere degli ideologi sull’“organizzazione del mondo” e il “primato dell’azione”; sul “dominio del cosmo” che, secondo loro, rappresenta il fine della metafisica occidentale. Siamo in Occidente, per usare l’immagine di Hartmann, buoni addestratori di cavalli. C’è forse qualcosa di cui vantarsi? Se considero che almeno due terzi del pianeta sono sprofondati nelle tenebre della miseria e dell’infelicità, mi interrogo sul successo di questa “organizzazione del mondo” da parte dell’Occidente e rabbrividisco all’idea di quel che potrà essere il suo “dominio del cosmo”. Pietà per i marziani!

Tutti conoscono le  parole famose di Federico II: “Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno di loro rimarrebbe nei ranghi.” Anche il re di Prussia sembrerebbe un traditore dell’avventura occidentale? Ciò che ieri ha detto dei suoi soldati, lo dico oggi dei lavoratori alienati e fieri della loro alienazione. Non è l’organizzazione del mondo che dobbiamo insegnare ai nostri giovani, ma quella della loro stessa vita; non è il dominio del cosmo, ma il dominio di se stessi. I nostri contemporanei parlano troppo e si agitano troppo. Bisogna insegnare loro ad amare il silenzio e a pregare. Dobbiamo riabilitare l’ozio.

[Gabriel Matzneff, Le taureau de Phalaris, La Table Ronde 1994]