secousse sismique travaillant l’épaisseur d’une lentille de cristal, cette fin du monde de poche s’exprimait tout entière dans la syllabe fragm, identique de “diaphragme” à “fragment”, comme une paillette pierreuse qu’on retrouve pareille à elle-même dans des roches de structures diverses mais dont les éléments principaux, de l’une à l’autre, demeurent constants (Michel Leiris)
Comme c’est bien, que tu m’aies rappelé aussitôt. J’ai caressé ta voix, et encore maintenant. L’urgence s’est un peu détendue, mais s’il te plaît, viens. Laisse-les, ils n’ont pas besoin de toi, eux, pas de toi vraiment, tu vois. Moi je t’attends.
Che bello che mi hai richiamato subito. Ho accarezzato la tua voce, e ancora adesso. L’urgenza si è un po’ attenuata, ma ti prego, vieni. Lasciali, non hanno bisogno di te, non di te veramente, lo sai. Io t’aspetto. (a.r.)
[Derrida, La carte postale, Flammarion 1980.]
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Com’è bello che tu mi abbia richiamato subito. Ho accarezzato la tua voce, ed ancora adesso. L’urgenza s’è un po’ distesa, ma per piacere, vieni. Lasciali, non hanno bisogno di te, loro, non di te veramente, vedi. Io, invece, t’attendo.
Che bello che tu mi abbia richiamato subito. Ho accarezzato la tua voce, e ancora adesso. L’urgenza si è un poco calmata, ma se ti va, vieni. Lasciali, loro non hanno bisogno di te, vedi, non di te veramente. Ti aspetto.
j’aime toutes mes appellations de toi et alors nous n’aurions qu’une lèvre, une seule pour tout dire
de l’hébreu il traduit « langue », si l’on peut appeler cela traduire, par lèvre. Ils voulaient s’élever sublimement pour imposer leur lèvre, l’unique, à l’univers. Babel, le père, en donnant son nom de confusion, multiplia les lèvres, et c’est pourquoi nous sommes séparés et que moi je meurs à l’instant, je meurs d’envie de t’embrasser de notre lèvre la seule que je veuille entendre
[Jacques Derrida, La carte postale, Flammarion, 1980]
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e tu, dimmi
amo tutti i nomi con cui ti chiamo e allora avremmo un solo labbro, uno solo per dire tutto
dall’ebraico traduce «lingua», se questo si può chiamare tradurre, con labbro. Volevano elevarsi sublimemente per imporre il loro labbro, l’unico, all’universo. Babel, il padre, dando il suo nome di confusione, moltiplicò le labbra, perciò siamo separati e io ora muoio, muoio dalla voglia di baciarti con la nostra lingua l’unica ch’io voglia sentire
(a. r.)
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e tu, dimmi
amo tutti i miei appellativi di te e non avremmo che un labbro, uno solo per dire tutto
in ebraico labbro si traduce «lingua», se ciò lo si può chiamare tradurre. Loro volevano elevarsi sublimemente per imporre il loro labbro, l’unico, all’universo. Babele, il padre, dando il suo nome di confusione, moltiplicò le labbra, è per questo che noi siamo separati e io che muoio all’istante, muoio dalla voglia baciarti sulle labbra, il solo labbro che voglia sentire
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e tu, dimmi
amo tutti i miei appellativi di te e in quel momento non avremmo che un labbro, uno solo per dire tutto
dall’ebraico traduce «lingua», se è possibile chiamare ciò tradurre, con labbro. Volevano salire sublimemente per imporre il loro labbro, unico, all’universo. Babele, il padre, dando il suo nome di confusione, moltiplicò le labbra, e per questo siamo separati e io muoio immediatamente, muoio dalla voglia di abbracciarti con il nostro labbro il solo che voglia sentire
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