ghérasim luca sulla corda senza fine né principio | serge martin

G-Luca-UNER

In una lettera a Max Brod del 1921, Franz Kafka scriveva: «La disperazione che ne seguì fu la loro ispirazione. […] (questa disperazione non era qualcosa che la scrittura avrebbe potuto acquietare, era un nemico della vita e della scrittura; la scrittura non era all’occorrenza che una soluzione provvisoria, come per qualcuno che scrive il suo testamento giusto prima di andare a impiccarsi, un provvisorio che può ben durare tutta una vita) era una letteratura impossibile da ogni punto di vista, dunque una letteratura di gitani […], perché ci vuol pure qualcuno che cammini sulla corda». Bisognava cominciare convocando l’impossibile: questo «tutta una vita» nel e attraverso il «provvisorio» che Franz Kafka evocava, guardando tanto alla propria situazione quanto a quella dei numerosi scrittori ebraici che cominciarono a «scrivere in tedesco». Anche se fece la scelta del francese e non del tedesco come il suo amico Paul Celan, non possiamo non associare Ghérasim Luca che a quegli scrittori il cui desiderio forte, secondo Kafka, era proprio di «abbandonare il giudaismo, generalmente con la vaga approvazione dei padri; (è questo vago che è rivoltante); lo volevano, ma le loro zampe posteriori stavano incollate ancora al giudaismo del padre e le loro zampe anteriori non trovavano un terreno nuovo. La disperazione che ne seguì fu la loro ispirazione.»
Nato nel 1913, il figlio di Berl Locker, sarto di Bucarest, presto orfano di guerra, parlava romeno, francese, tedesco e yiddish. Nel 1962, a quasi cinquant’anni, dieci anni dopo la sua venuta a Parigi, annotava per sé stesso questa paradossale e forte proposizione: «Je suis l’Étranjuif». Attese, difatti, la fine degli anni ottanta per abbandonare il suo status di apolide, obbligato a regolarizzare la sua carta d’identità. Il suo suicidio, il 9 febbraio 1994 nella Senna, è venuto a ricordare non solo che si considerava come definitivamente «hors la loi» così come l’aveva proclamato nel poème-tract del 1960, La Clef (La Chiave), ma anche che aveva sempre camminato sulla corda.

[Europe n. 1045, maggio 2016]

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