Bernard Noël / La chute des temps

IL TEMPO NON ESISTERÀ PIÙ

I

Ces lèvres de vent où va et vient le goût du présent[1]. L’essere sempre sfuggente del mondo si traduce nella forma poetico-musicale della fuga. Il tempo che deflagra è l’avvenire, non un futuro qualsiasi ma il tempus fugit del presente. “Il y a trop de doigts sur les choses[2]. Le parole sono già in lutto dell’oggi, cadono nel tempo, sono appena un soffio di vita – “le souffle remue la langue” – delineano un passaggio incessante, “che è la sostanza stessa dell’intimità”. La percezione “poetica” del mondo non è nella presa di bocche e denti, che nessun bacio trattiene; si fa attraverso “ces lèvres de vent où va et vient le goût du présent”. Non è un mondo pieno che possiamo restituire con le parole, “qui donc voudrait sentir sur la peau de ses yeux autre chose que le vide du monde l’aile a le même besoin d’abîme[3], ma questo soffio di vento, questo vuoto, questo abisso dove si ripercuote l’eco dell’io. “Je est un écho il roule sous le crâne[4]. Sotto il suo cranio vaga, in solitudine negata, l’io, “maintenant je est seul et le solitaire est tout de même interdit”.

“La voce è l’imminenza del linguaggio nel deserto dove l’anima è ancora sola”[5]. L’anima dialoga in origine solo con se stessa, “ma dialogo o no, c’è una sorta di polifonia dentro ogni voce”[6]. “La voix ne ressemble à rien elle est le tremblement de la chair molle sa fragilité faite invisible l’homme s’oublie dans cette fumée d’air[7]. “Le corde vocali si tendono e vibrano per riempire il vuoto della bocca e del tubo digerente (risposta alla fame) e il venir meno del sistema nervoso all’avvicinarsi del sonno… La voce sostituirà il vuoto”[8]. “Nel deserto dell’esistenza derelitta, preda della mancanza e dell’assenza, per la prima volta la voce si fa sentire”[9]. C’è un tremito, e un tremore, nella voce come c’è un fremito nella carne. In questo passaggio dal dialogo dell’anima con se stessa all’evento del Tu, della carne, che è insieme principio e aprirsi dell’intimità a un fuori, una dissipazione. Carne tremante che agita l’Io e il Tu nell’estatico, nel ritrovarsi fuori di sé. La voce “è sempre rivolta all’altro”; la carne dialoga con l’altra carne, dialoga fino allo sfinimento. Si sfinisce a voler far coincidere passato e memoria, “la memoria mette lenzuola pulite su letti che non serviranno più”, a far sì che qualcosa duri attraverso la memoria, invece “le passé ne doit pas durer sauf dans l’oubli”.

L’io è “disancorato” dal mondo, “il mentale un luogo troppo sicuro anche se provvisorio” e, invece, “l’uomo non può essere che un uomo”. Impossibile ritrovarsi qui e laggiù o lassù, nell’assoluta dispersione dei tempi “qui fut moi dans le temps où tu m’aimais le tu est la nuit des mots”. Il pensiero rammemorante è un ‘impossibile’ : “l’homme écrit son histoire d’une main l’autre se prend dans la page quelque chose qui nous ressemble s’ajoute à ce qui est mais quoi le corps n’a pas lieu tout le temps et l’émotion est chose muette”. L’emozione è cosa muta, la parola letteraria è “muta”. Il tempo, come ogni nome, si cancellerà. Buio a venire, “buio spirituale” dell’estrema autocoscienza nello stato epilettico. “In quel momento mi diventa in qualche modo intelligibile la straordinaria affermazione che non esisterà più il tempo”.[10]


[1]B. Nőel, La chute des temps, Folio/Gallimard. “labbra di vento dove viene e va il sapore del presente”
[2]  Ivi. “ci sono troppe dita sulle cose”
[3]  Ivi. “chi dunque vorrebbe sentire sulla pelle degli occhi altro che il vuoto del mondo così l’ala ha bisogno dell’abisso”
[4] Ivi. “io è un’eco rotola sotto la volta del cranio”
[5]  J-L. Nancy, Vox clamans in deserto, in Il peso di un pensierol’approssimarsi, Mimesis, 2010
[6]  Ivi
[7]  B. Nőel, op. cit.; “la voce non assomiglia a niente è il tremito molle della carne la sua fragilità fatta invisibile l’uomo si perde in questo fumo d’aria”
[8] J. Kristeva, Materia e senso, cit. da J-L Nancy, op. cit.
[9]J-L. Nancy, op. cit.
[10] Dostoevskij, L’idiota, Einaudi

3 pensieri riguardo “Bernard Noël / La chute des temps

  1. Ho riletto il "controcanto", come l'avevi definito tu…
    Mi ha fatto pensare ad alcune cose che ho letto riguardo al tempo nella musica di Ligeti. Per esempio: "Una musica quasi senza tempo aveva risucchiato nella propria apparente immobilità la nozione tradizionale del tempo; un brulicare folto e indistinguibile aveva fagocitato la figura. Eppure da quel tremolio, da quei bagliori intermittenti continuava a sprigionarsi attraverso misteriosi segnali una presenza assente. Questo gioco di contrappassi non era un esercizio dialettico ma una vera e propria drammaturgia carica di una inaudita energia implosiva" (Enzo Restagno, Ouverture, in Ligeti, ed. EDT).
    La stessa ossessione per la materia e il tempo, per le strutture corrose dal tempo in Noel e in Ligeti…Diciamo in quel pensiero trasversale che, purtroppo, oggi sembra tramontato- specialmente nella prassi musicale, ma non soltanto- e che rimane il punto d'incontro "anti dialettico", cioè non riconciliato nè consolatorio, di ogni ricerca autentica.

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