autobiogriffures | sarah kofman

Ecrire comme un chat… écrire de façon illisible, noircir, sans soin, le papier, mal former ses lettres, griffonner. Ecriture de chat? Indéchiffrable.

D’où la puissance subversive de la fiction suivante: imaginer q’un chat puisse écrire, ait même l’ambition de devenir écrivain.

Attribuer par fiction l’écriture à un chat, ce nest pas seulement non plus  bien que ce le soit aussi, nous le verrons -, faire la satire de la gent humaine écrivassière (comme La Fontaine dénonce indirectement les travers humains en donnant la parole aux animaux); cest, d’abord, relier le chat Murr à toute la lignée des chats célèbres dans lhistoire ou la littérature (ces animaux préférés de bien des écrivains, comme sil y avait une affinité particulière entre le chat et 1écriture, le chat et la culture): chat de Dante, tenant entre ses pattes une chandelle afin déclairer son maître pendant ses nuits d’étude; porte-chandelle fragile, laissant choir son luminaire pour courir, à loccasion, après une souris, convainquant ainsi Dante de la toute-puissance de la nature; chatte de Pétrarque, véritable guerrière griffue, protégeant les écrits du poète contre les rats, rongeurs de documents (1) ; chat de Scarlatti, Pulcinella, auquel le musicien doit sa Fugue du chat, mille et une variantes dune phrase musicale frappée par les griffes agiles de lanimal.

  (1) Sur une niche se trouvent à Venise les restes momifiés de la chatte du poète, on peut lire en latin: « le poète florentin brûla d’un double amour. Sa flamme la plus vive fut pour moi, lautre pour Laure. Ne riez pas. Si Laure su le charmer par sa beauté divine, je méritai moi cet incomparable amant par ma fidelité: si elle excita son génie et inspira ses vers, c’est grace à moi que les rats nont pas dévoré ses écrits. Vivante, je chassais les souris de cette demeure, morte que je suis, je terrifie encore les ennemis par ma présence, et lon voit ainsi survivre dans ce corps inanimé mon antique fidélité ».

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Scrivere come un gatto… scrivere in modo illeggibile, annerire la carta con noncuranza, formare le lettere in modo errato, scarabocchiare. Scrittura di gatto? Indecifrabile.

Da qui il potere sovversivo di questa finzione: immaginare che un gatto possa scrivere, e abbia addirittura lambizione di diventare scrittore.

Attribuire la scrittura a un gatto mediante la finzione non è soltanto – anche se lo è, come vedremo – fare satira sugli scrittori umani (nel modo in cui La Fontaine denuncia indirettamente i fallimenti umani, dando la parola agli animali); si tratta innanzitutto di collegare il gatto Murr a tutta una stirpe di gatti famosi nella storia o nella letteratura (animali questi preferiti da molti scrittori, come se ci fosse una particolare affinità tra il gatto e la scrittura, tra il gatto e la cultura): Il gatto di Dante, che tiene tra le zampe una candela per illuminare il suo padrone nelle notti di studio; portacandela fragile, che lascia cadere il lume per correre, di tanto in tanto, dietro a un topo, convincendo così Dante dellonnipotenza della natura; la gatta di Petrarca, vera guerriera artigliata, che protegge gli scritti del poeta dai topi, roditori di documenti (1); Il gatto di Scarlatti, Pulcinella, a cui il musicista deve la sua ‘Fuga del gatto’, mille e una variazione di una frase musicale suonata dagli agili artigli dellanimale.

(1) A Venezia, in una nicchia dove si trovano i resti mummificati della gatta del poeta, si legge in latino: «il poeta fiorentino ardeva d’un doppio amore. La sua fiamma più viva era per me, laltra per Laura. Non ridete. Se Laura ha saputo affascinarlo con la sua divina bellezza , meritavo io questamante incomparabile per la mia fedeltà: se lei ha eccitato il suo genio e ispirato i suoi versi, è grazie a me se i topi non hanno divorato i suoi scritti. Viva, ho cacciato i topi da questa casa, morta come sono, terrorizzo ancora i nemici con la mia presenza, e si vede così sopravvivere in questo corpo inanimato la mia antica fedeltà.

io parlo ai muri | lacan

«Il desiderio tout court è sempre il desiderio dell’Altro. Ciò significa, insomma, che siamo sempre lì a chiedere all’Altro il suo desiderio».

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Quello che è proprio di Lacan e del suo discorso, è la logica stringente a cui si attiene. Parlare non per andare in nessun posto; ma parlare “ai muri” per andare nel posto giusto, là dove il linguaggio conduce. In bocca alla verità. Del linguaggio non c’è certezza, ma io, la verità, parlo. «Io vuol dire colui che sta parlando attualmente, nel momento in cui dico io». Se non c’è io, c’è un soggetto che parla. E che dice il vero. Non dalla sua bocca però, ma dal luogo dell’Altro, dove la parola s’intende come parola. S’intende come parola e si articola come desiderio; è all’Altro che chiediamo «il suo desiderio». «Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro».

simone weil (3 febbraio 1909-23 agosto 1943)

Differenza che passa tra il Desiderio come lo intende Simone Weil, desiderio opposto alla volontà, e l’altro desiderio che è volontà. Simone Weil vuole l’immutabile, e tende alla morte come fine. La Morte come rivincita sul Tempo. Desiderio è “patientia”, attesa; quando non si vuole qualcosa, ma la si attende all’infinito, si è dalla parte del bene.

«L’apparenza aderisce all’essere e solo il dolore può strappare l’una dall’altro […]. Il corso del tempo strappa l’apparire dall’essere e l’essere dall’apparire, con violenza.» [Simone Weil, Quaderni II]

«Se a orientare l’anima è l’amore, quanto più si contempla la necessità, quanto più la si tiene stretta a sé, dura e fredda come metallo, sulla nuda pelle, tanto più ci si accosta alla bellezza del mondo.» [Simone Weil, Attesa di Dio]

il libro contro la morte | canetti

Quando mia madre morì, giurai a me stesso che avrei scritto il Libro contro la morte. Questo ho ritrovato ieri l’altro nelle mie lettere a Veza. Ho trascorso metà della notte a rileggerle (come ai vecchi tempi). Allora scrivevo anche che mia madre doveva diventare immortale. Nel frattempo lo è diventata, e anche la donna cui allora lo scrivevo, anche lei è diventata immortale. Finché esisteranno esseri umani, nessuno potrà privare dell’immortalità mia madre e nessuno Veza.

[Elias Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi 2017]

biancaneve (e i sette nani) | bettelheim

“Il titolo con cui la fiaba è oggi ampiamente conosciuta è Biancaneve e i sette nani: una versione espurgata che purtroppo mette l’accento sui nani, che, non sviluppandosi fino a raggiungere la maturità umana, sono bloccati in modo permanente a un livello pre-edipico (i nani non hanno genitori, né si sposano o hanno figli) e hanno l’unica funzione di mettere in risalto gli importanti sviluppi che hanno luogo in Biancaneve.” Ci possiamo subito domandare: da dove vengono i nani e a che scopo lavorano? I nani rappresentano il periodo di latenza sessuale per la bambina Biancaneve, in cui la figura maschile si autoriduce: il nano è, allo stesso tempo, un bambino e un lavoratore in miniatura. La favola di Biancaneve si articola sui miti di Edipo e Narciso. Del padre di Biancaneve non si sa nulla. Sappiamo soltanto che la madre muore mettendo al mondo Biancaneve e il Re  si risposò. Fare morire la madre prima che si produca la rivalità con la figlia è un espediente per allontanare dalla famiglia naturale la pietra d’inciampo di tipo edipico (le bambine desiderano sposare il padre sostituendosi alla madre) e narcisistico (la bambina che cresce mette a rischio il narcisismo della madre, diventa una rivale). Come scrive Bettelheim, a salvare la bambina è una figura paterna, che è il cacciatore. Ma una figura paterna inadeguata, perché abbandona la bambina nel bosco, lasciando agli animali feroci il compito di ucciderla. In molte favole è la figura materna ad essere prevaricatrice e l’uomo dominato. Nemmeno i nani possono rappresentare una figura paterna adeguata, perché lasciano da sola in casa Biancaneve per andare a lavorare. E fanno della bambina Biancaneve una massaia: chi non lavora non mangia. Biancaneve, come scrive Bettelheim, subisce le tentazioni in molti modi e non sempre resiste: Biancaneve “prova” i letti di tutti e sette i nani e resta a dormire nell’ultimo.  I nani pensano soltanto al lavoro, sono sette perché nella loro settimana non c’è neanche un giorno di riposo. Dovendo i nani mangiare ogni giorno, anche Biancaneve non può mai riposarsi. Quella del nano minatore è un’immagine fallica, perché così piccolo s’infila in tutti i buchi della terra: “sono bravi a penetrare in buchi oscuri”. Le tentazioni della Regina cattiva sono di tipo sessuale e Biancaneve soccombe.

“La storia di Biancaneve insegna che il fatto che un individuo abbia raggiunto la maturità fisica non significa necessariamente che sia preparato sotto gli aspetti intellettuale ed emotivo per l’età adulta, cosí com’è rappresentata dal matrimonio. Un considerevole sviluppo e molto tempo sono necessari prima che la nuova e piú matura personalità sia formata e i vecchi conflitti siano integrati. Soltanto allora la persona è pronta per un partner dell’altro sesso, e per i rapporti intimi con lui che sono necessari per il raggiungimento della maturità, della condizione di adulto. Il partner di Biancaneve è il principe che “la porta via” nella sua bara: questo le fa sputar fuori la mela avvelenata e la riporta in vita, pronta per il matrimonio. La sua tragedia aveva preso l’avvio da desideri incorporativi orali: il desiderio della regina di mangiare gli organi interni di Biancaneve. Biancaneve sputa fuori la mela che sta per soffocarla – il cattivo oggetto che aveva incorporato – e questo sancisce la sua definitiva liberazione dall’oralità primitiva, che compendia tutte le sue fissazioni immature.”

[Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, Feltrinelli 1977]

la genèse du phénomène | max loreau

Oubli de l’être, c’est en général un manque ; l’être s’est caché en devenant un objet et une limite de la pensée ; objet introuvable et obscur désormais, l’être s’est distrait et soustrait à la pensée : oubli de l’être. Pourquoi ? Parce que les objets nous sont donnés avant d’être pensés. Et pourtant, l’intuition, le rapport immédiat à l’objet, suppose un sujet affecté par quelque chose d’extérieur à lui ; que ce soit à travers la sensation (objet indéterminé) ou à travers la représentation (objet déterminé). Mais la représentation pure  (qui ne concerne pas la sensibilité, les sens) est le pouvoir que le sujet a d’être affecté par autre chose qu’un objet. Cette intuition pure, pure représentation, est la lumière.

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L’oblio dell’essere è generalmente privazione; l’essere si è nascosto diventando oggetto e limite del pensiero; oggetto ormai introvabile e oscuro, l’essere si è distratto e sottratto al pensiero: oblio dell’essere. Perché?  Perché gli oggetti sono dati a noi prima d’essere pensati. Tuttavia, l’intuizione, il rapporto immediato all’oggetto, suppone un soggetto affetto da qualcosa di esterno a lui; che sia attraverso la sensazione (oggetto indeterminato) o attraverso la rappresentazione (oggetto determinato). Ma la rappresentazione pura (che non riguarda la sensibilità, i sensi) è il potere che il soggetto ha di essere “affetto” da altro, che non sia l’oggetto. Questa intuizione pura, pura rappresentazione, è la luce.

[Max Loreau, La genèse du phénomène, Editions de Minuit, 1989]

ozio | matzneff

Oisiveté (3)

On ne lit plus guère Édouard de Hartmann, et on a tort. Philosophie de l’Inconscient, paru en 1869 (trois ans après l’Histoire du matérialisme de Lange), demeure un excellent livre. Hartmann y montre que tout ce qu’on écrit à la gloire du travail se borne à célébrer ses avantages économiques et son action moralisatrice. Hartmann compare l’homme qui accepte ce qu’il ne peut éviter et finit par aimer son état de servitude à un cheval qui, une fois dressé, « traîne avec assez de bonne humeur la charrette à laquelle il est attelé ».

Je connais par cœur le bavardage des idéologues sur « l’organisation du monde » et « la primauté de l’action » ; sur « la maîtrise du cosmos » qui, selon eux, figure l’aboutissement de la métaphysique occidentale. Soit, nous sommes en Occident, pour reprendre l’image de Hartmann, de bons dresseurs de chevaux. Y a-t-il là de quoi pavoiser ? Quand je considère que les deux tiers au moins de la planète sont plongés dans les ténèbres de la misère et du malheur, je m’interroge sur le succès de « l’organisation du monde » par l’Occident et je frémis à l’idée de ce que pourrait être sa « maîtrise du cosmos ». Pitié pour les Martiens !

Chacun sait le mot fameux de Frédéric II : « Si mes soldats commençaient à penser, aucun d’eux ne resterait dans les rangs. » Le roi de Prusse serait-il, lui aussi, un traître à l’aventure occidentale ? Ce qu’il disait hier de ses soldats, je le dis aujourd’hui des travailleurs aliénés et fiers de leur aliénation. Ce n’est pas l’organisation du monde que nous devons enseigner à nos cadets, mais celle de leur propre vie ; ce n’est pas la maîtrise du cosmos, mais la maîtrise de soi. Nos contemporains parlent trop et s’agitent trop. Il faut leur apprendre à aimer le silence et à faire oraison. Il faut réhabiliter l’oisiveté.

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Ozio (3)

Non leggiamo quasi più Eduard von Hartmann e sbagliamo. La Filosofia dell’Inconscio, pubblicata nel 1869 (tre anni dopo la Storia del materialismo di Lange), resta un libro eccellente. Hartmann mostra che tutto ciò che si scrive per elogiare il lavoro si limita a celebrarne i vantaggi economici e l’azione moralizzatrice. Hartmann paragona l’uomo che accetta ciò che non può evitare e finisce per amare il suo stato di servitù a un cavallo che, una volta addestrato, “trascina felice il carro a cui è aggiogato”.

Conosco a memoria le chiacchiere degli ideologi sull’“organizzazione del mondo” e il “primato dell’azione”; sul “dominio del cosmo” che, secondo loro, rappresenta il fine della metafisica occidentale. Siamo in Occidente, per usare l’immagine di Hartmann, buoni addestratori di cavalli. C’è forse qualcosa di cui vantarsi? Se considero che almeno due terzi del pianeta sono sprofondati nelle tenebre della miseria e dell’infelicità, mi interrogo sul successo di questa “organizzazione del mondo” da parte dell’Occidente e rabbrividisco all’idea di quel che potrà essere il suo “dominio del cosmo”. Pietà per i marziani!

Tutti conoscono le  parole famose di Federico II: “Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno di loro rimarrebbe nei ranghi.” Anche il re di Prussia sembrerebbe un traditore dell’avventura occidentale? Ciò che ieri ha detto dei suoi soldati, lo dico oggi dei lavoratori alienati e fieri della loro alienazione. Non è l’organizzazione del mondo che dobbiamo insegnare ai nostri giovani, ma quella della loro stessa vita; non è il dominio del cosmo, ma il dominio di se stessi. I nostri contemporanei parlano troppo e si agitano troppo. Bisogna insegnare loro ad amare il silenzio e a pregare. Dobbiamo riabilitare l’ozio.

[Gabriel Matzneff, Le taureau de Phalaris, La Table Ronde 1994]

la mente estatica | elvio fachinelli

«Nel centro del vuoto, quando l’io si perde, pienezza. Il vuoto si capovolge in pieno; l’assenza in presenza. Totale cambiamento tra il prima e il dopo. Vuoto non è simmetrico di pieno».

[Elvio Fachinelli, La mente estatica, Adelphi 1989]

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Il libro di Fachinelli individua nella frammentarietà, ma una frammentarietà che è un tentativo di oltrepassamento, l’abbandono del gesto totalizzante della conoscenza, e il suo recupero in una direzione infinita, che è la dimensione del desiderio (e della cura). All’origine del problema della conoscenza, scrive Fachinelli, per Freud e Lacan, c’è la scomposizione del “complesso percettivo primario”, da una parte la percezione del proprio corpo, attraverso il movimento o il grido; dall’altra ciò che resta per sempre estraneo al sé (l’Oggetto, l’Altro, la Cosa).

compact | maurice roche

3. Sarò morto tanto a lungo quanto chiunque altro…

Sarò morto tanto a lungo quanto chiunque altro, e tuttavia all’ora attuale sono vivo. Ho pregato fino a mezzanotte e sono stanco morto. Ho fame.  

Senza arrivare a dimenticare completamente che occupo, disteso su un giaciglio, una mansarda di hotel (via Gît-le-Cœur, nel cuore di Parigi), mi immagino giacente di marmo in fondo a una cripta oscura. Sento le orazioni, le litanie confuse e, a notte alta come un tempo, la voce di mia madre, venuta da lontano dalle profondità… i resti di una ninnananna   

«il mercante di sabbia che passa…»)  

Si preme l’interruttore della lampada da notte «un guasto alla corrente?» Un fiammifero (i fiammiferi sulla mensola) si sfrega un fiammifero senza produrre la più piccola scintilla. Si può supporre che i fiammiferi siano umidi. Non si vede niente.  

«Amaurosi (si pensa alle parole del medico) amaurosi nel paese dei ciechi, in piena democrazia! Qui ci si sposta in filigrana in uno spazio senza riflessi; e gli specchi in braille, non esistono…»

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3. Je serai mort aussi longtemps que n’importe qui…

Je serai mort aussi longtemps que n’importe qui, et cependant à l’heure présente je suis vivant. J’ai prié jusqu’à minuit et je suis crevé. J’ai faim.

Sans arriver à oublier complètement que j’occupe, couché sur un grabat, une mansarde d’hôtel (rue Gît-le-Cœur, en cœur de Paris), je m’imagine gisant de marbre au fond d’une crypte obscure. J’entends les oraisons, les litanies brouillées et, au haut de la nuit comme jadis, la voix de ma mère, venue de loin des profondeurs … les restes d’une berceuse

            «le marchand de sable qui passe… »)

On presse l’olive de la lampe de chevet « une panne de courant ? » Une allumette (les allumettes sur la tablette) on frotte une allumette sans arracher la moindre lueur. On peut supposer que les allumettes sont humides. On ne voit rien.

« Amaurose (on songe aux propos du médecin) amaurose au pays des aveugles, en pleine démocratie ! Ici on se déplace en filigrane dans un espace sans reflets ; et les miroirs en braille, ça n’existe pas… »

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[Maurice Roche, Compact, Tristram 1993, CD, trad. it. A. Riponi]

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La lettura di Maurice Roche (15 febbraio 1990; Tristram 1993) mantiene la costruzione polifonica dell’originale, la simultaneità delle voci. Le varie soluzioni tipografiche corrispondono a differenti voci mentali. C’è questo passaggio – come scrive Jean-Louis Baudry – «dalla vista all’udito, dall’ascolto interiore all’audizione esteriore». Come se l’autore si riappropriasse di un testo lasciato all’interpretazione silenziosa del lettore. La voce di Maurice Roche si modula su vari registri «voce profonda e fluida, seducente e persuasiva, drammatica, ironica, commovente e confidenziale, voce capace di trasformare un momento panico in irresistibile umorismo catastrofico, fino a diventare così profonda da sembrare uscire dall’oltretomba». «Libro memorabile dell’assenza personale – lo definirà Denis Roche – e allo stesso tempo la più lancinante delle autobiografie».

[da: Postilla a Compact di Maurice Roche, Anterem 95/2017]

PS: Compact (Seuil 1966) fu tradotto nel 1970 per Lerici da Carla Vasio.

un ricordo d’infanzia di piero della francesca | hubert damisch

Che la nascita virginale (partenogenesi) potesse essere considerata un segno della divinità è un tratto che era già presente nella cultura ebraica: la profezia di Isaia invocata nel vangelo di Matteo, attraverso la voce dell’angelo che appare in sogno a Giuseppe per dissuaderlo dal ripudiare Maria, intendeva esplicitamente questo: «Ecco, la giovane vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emmanuele» (Is 7,14).

I vangeli canonici riservano solo una piccola parte a Maria, che non sempre viene presentata nella luce più positiva. Il racconto dell’infanzia di Cristo, come si può leggere nel Vangelo di Luca, costituisce tuttavia la fonte primaria dei grandi “misteri” legati alla figura della Vergine e alla sua persona. Dei quattro dogmi: della Maternità Divina, della Verginità postpartum, dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, solo il primo ha la sua fonte inequivocabile nei Vangeli di Matteo e Luca. Ma tanto basta per fare appello all’immaginario che qualifichiamo un po’ troppo frettolosamente come “popolare”: perché i Padri della Chiesa e i teologi non sono da meno e hanno fatto meglio e di più che rispondere alle attese dei loro lettori. E come avrebbe potuto essere altrimenti, dal momento che i problemi che dovevano affrontare erano in stretto rapporto con la questione che secondo Freud era la più antica e scottante della giovane umanità?

Come fa, per andare a fondo – se così posso dire – del “tema” della Madonna del Parto, Pozzi attenendosi rigorosamente alla formula che la letteratura spirituale gli offre e che gli sembra tradurre più fedelmente il “messaggio”: ovvero qualcosa tra il “corpus Mariae quasi tabernaculum”, tratto dal commento ai Salmi dello pseudo-Girolamo, il “tabernaculum Filii Dei”, che concorda con il dogma di Maria theotokos, “madre di Dio”, e il “Verbum infans”, il Verbo fatto carne – il verbo in-fans, il verbo che non ha (o non ha più) parola, il verbo fatto immagine – che lo conferma. Sicché la Madonna del Parto non sarebbe altro che la traduzione in termini figurativi del mistero dell’Incarnazione. La denominazione “Maria-tabernacolo” si applicherebbe all’icona come farebbe una carta trasparente (lucido).

Come sottolinea Pozzi, parola e immagine corrispondono ad articoli fondamentali della dottrina cristiana, l’incarnazione del Verbo costituendo il fondamento teologico che conferisce all’immagine la sua legittimità in rapporto alla parola. Così come Dio creò l’uomo a sua immagine, l’invisibile si vede nella carne. Ma la questione della figurabilità assume in questo contesto un rilievo singolare, attraverso la torsione di una formula mariana citata da Pozzi: se il Cristo non potesse essere rappresentato nell’arte, ciò significherebbe che sarebbe nato solo dal Padre, e non dalla madre: se la madre è figurabile, il figlio a sua volta deve esserlo. La formula si presta a un’inversione risolutamente “moderna”, quella operata da Jean-Luc Godard, nel preludio al suo film Je vous salue Marie: e se la madre stessa fosse mostrata solo attraverso il mutamento di questo corpo, di questa nascita che ha accolto? Questo ci rimanda al legame colto da Balzac ne Il Capolavoro sconosciuto, tra l’impossibilità di dipingere la donna e la questione, in generale, della figurabilità nel campo artistico: la Vergine – e, in quella che sarà la sua “storia”, il momento dell’attesa, quando il corpo del bambino non è ancora venuto alla luce.

La Madonna del Parto non guarda lo spettatore, racchiusa come sembra essere nel proprio sogno e occupata dall’unico evento di cui il suo corpo è il luogo, in una distanza invalicabile (immagine, come spiega ancora Jean-Luc Godard, della contraddizione che rende interessante il tema: perché non possiamo essere vicini alla Vergine?).

[Hubert Damisch, Un souvenir d’enfance par Piero della Francesca, Seuil 1997]

Trad. it. di A. Riponi

[Giovanni Pozzi, «Maria tabernacolo», in Sull’orlo del visibile parlare, pp. 17-88, Adelphi 1993]

[Jean-Luc Godard, Je vous salue, Marie, 1985]

kafka | artaud | marthe robert | l’heure nouvelle

“Una letteratura senza nome a immagine di un mondo innominabile, oppure niente più letteratura, era uno dei principali temi della nostra rivista l’Heure nouvelle, dove, senza tema di contraddirci, pubblicavamo, del resto, al tempo stesso dei testi di Kafka e le prime poesie che segnavano il ritorno di Antonin Artaud alla vita” (Marthe Robert, La vérité littéraire).

Tramite Marthe Robert e la rivista “L’Heure nouvelle” Kafka e Artaud s’incontrano virtualmente. Il parallelo tra Artaud redivivo e Kafka quasi dimenticato o malinteso è quanto mai utile a dire che soltanto uno scrittore “tornato in vita” dopo anni di segregazione manicomiale può riconoscere in tutta la sua forza il messaggio di Kafka su un universo concentrazionario.

diario scritto di notte | gustaw herling

Caravaggio dipinse la Morte della Vergine commissionatagli dalla chiesa di Santa Maria della Scala: la tela fu considerata scandalosa, forse blasfema, e venne rifiutata. Rappresenta la Vergine morta come una donna distrutta, logorata dalla vita, con il capo circondato da una sottilissima aureola: un segno di santità quasi innaturale in un’immagine così terrena della morte. Viene in mente la Madonna del Parto nella cappella del cimitero di Monterchi. Ma la contadina toscana di Piero della Francesca, con la veste aperta sul ventre gravido, conferisce all’affresco un accento di calma e solennità terrene, mentre in Caravaggio la fede si scontra violentemente con la vita e la morte umane.

[Gustaw Herling , Diario scritto di notte, Feltrinelli 1992]

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En regardant Marianna adossée au poteau de la tonnelle, je pensai à La Madone enceinte de Piero della Francesca, dans la chapelle de Monterchi, plus âgée qu’elle, bien entendu, mais au visage agréable de paysanne, aux traits réguliers, et une expression de simplicité dans les yeux malgré leur regard aigu. Ou peut-être cette association me vint-elle du fait que Marianna avait sa robe ouverte sur le ventre exactement comme sur le tableau du Maître italien ; quelques boutons soulignaient son état comme si elle était proche de la délivrance.

[Gustaw Herling, Variations sur les ténèbres, Seuil 1999]

nel territorio del diavolo | flannery o’connor

A garanzia del nostro senso del mistero, occorre un senso del male che veda il diavolo come uno spirito reale, spirito che va costretto a dichiararsi, e non semplicemente come male indefinito, bensì con una personalità specifica per ogni occasione. La letteratura, al pari delle virtù, non prospera in un’atmosfera dove non si riconosca il diavolo come esistente, sia in se stesso sia come necessità drammatica dello scrittore.

 Da un simile quadro non è assente la grazia in senso teologico. C’è un momento in ogni grande racconto nel quale si può avvertire la presenza della grazia in attesa di essere accettata o rifiutata, anche se capita che il lettore non lo colga.

 In breve, leggendo ciò che scrivo, ho constatato che l’argomento della mia narrativa è l’azione della grazia in un territorio occupato in gran parte dal diavolo.

 [Flannery O’Connor, Nel territorio del Diavolo. Sul mistero di scrivere (Mystery and Manners), Minimum fax 2002]

dalla vita di un fauno | arno schmidt

Soli attraverso treni deserti di luci, nella strepitante notte di terza classe, viaggiatori con some leggere… spuntavamo da semiporte; trasportavamo su scale; strisciavamo attraverso paesaggi scacchiera: foresta-nera, prato-bianco; ruppi con i denti una matita rossa, la scagliai nella lampada ad arco, lottai nelle scarpe, Käthe accampata nelle poltrone e io alla ricerca del seno, nel tappeto a righe verticali della camicetta, case ambulanti e uccelli migratori in Ernst-August-Platz.

*

Seuls à travers des trains désertés par les lampes, dans la nuit cahotante de troisième classe, des voyageurs avec de grands paquets légers… nous pointions le nez par des demi-portes ; nous nous trimballions dans des escaliers; nous glissions sur l’échiquier de paysages : forêt-noir, champs-blanc ; je brisai des dents un crayon rouge, tirai à l’arc à lampe, me débattais dans des chaussures, Käthe installée sur les banquettes et moi à la recherche de seins, dans le tapis du corsage rayé en long, maisons volantes et oiseaux migrateurs sur l’Ernst-August-Platz.

Arno Schmidt, Aus dem Leben eines Fauns, 1953. Lavieri 2006 | Tristram 2011

pire (1) | matzneff

Pire (1)

Une bonne recette pour désamorcer le malheur est de ne jamais oublier qu’il peut frapper à chaque instant. « Le pire est toujours certain. » Ta maîtresse t’adore ? Elle va rencontrer un autre homme, et te trahir. Tu te crois en parfaite santé ? Ton médecin, en t’examinant, va découvrir une tumeur fatale. Tu collectionnes de beaux objets ? Un incendie va les réduire en cendres. Plus nous sommes pénétrés de la nature fugace de nos bonheurs et plus nous sommes attentifs à en jouir pleinement. L’avenir est une duperie. Seuls comptent le passé, qui ne peut nous être ôté, et l’instant présent. Le futur n’existe pas. Demain, nous serons morts.

*

Il peggio (1)

Una buona ricetta per neutralizzare l’infelicità è non dimenticare mai che può colpire in ogni momento. “Il peggio è sempre certo”. La tua amata ti adora? Incontrerà un altro uomo e ti tradirà. Ti credi in perfetta salute? Il tuo medico, esaminandoti, scoprirà un tumore fatale. Collezioni oggetti belli? Un incendio li ridurrà in cenere. Più siamo penetrati dalla fugacità della nostra felicità, più saremo attenti a goderne pienamente. Il futuro è un inganno. Contano solo il passato, che non ci può essere tolto, e il momento presente. Il futuro non esiste. Domani, saremo morti.

[Gabriel Matzneff, Le taureau de Phalaris, La Table Ronde 1994]

la reine morte | montherlant

“… è La Reine Morte di Montherlant. Parla di una donna che può godere solamente morta, facendo la morta. Se fosse viva questo disturberebbe.” [1]. Al centro della pièce di Montherlant (La Reine morte) la storia di Ines de Castro, l’amante morta che sarebbe dovuta diventare regina, che aspettava un bambino e che il suo amante, figlio del Re, divenuto Re alla morte del padre, fa disseppellire e costringe la sua corte ad onorarla, a baciargli le mani. Ines de Castro viene accusata dal re di voler restare in vita, di voler godere della vita quando dovrebbe invece godere della morte, ovvero godere solo da morta. La sua gravidanza confessata al padre del suo amante la condanna a morte perché rappresenta la speranza nel futuro, nella vita. Spaventa il re, così come la donna viva spaventa Lacan, dice Abrahams.

[AA. VV., Un singolare gatto selvatico, Ombre corte 2017]

[1] Jean-Jacques Abrahams, Phallophonie.

“Il ya deux moments de sa vie ou tout homme est respectable: son enfance et son agonie” [Henri de Montherlant, Carnets 1966]

la circulation di sang | boustani

Toutefois un obstacle demeurait à la pratique de la greffe chez l’homme, non d’ordre technique, mais d’ordre éthique. Pouvait-on prélever des cœurs qui battent encore, synonymes de la vie? Il fallut donc redéfinir le concept de mort. Longtemps la vie fut assimilée au battement di cœur. Or, dans certaines circonstances, le cœur continue à battre alors que le cerveau est complètement détruit. C’est l’état de “coma dépassé” à partir du quel aucune conscience ne peut plus etre espérée.

Restava tuttavia un ostacolo alla pratica dei trapianti sull’uomo, non di ordine tecnico, ma di ordine etico. Si potevano prelevare cuori che battono ancora, sinonimo di vita? Era quindi necessario ridefinire il concetto di morte. Per molto tempo la vita è stata assimilata al battito del cuore. Tuttavia, in determinate circostanze, il cuore continua a battere anche se il cervello è completamente distrutto. È lo stato di “coma irreversibile” dal quale non si può sperare alcun ritorno alla coscienza.

[François Boustani, La circulation du sang, Philippe Rey 2007)

peccato | matzneff

Péché

Dans l’Évangile, le Christ ne parle pas du suicide. Il se tait d’ailleurs sur bien des points. Il se contente d’écrire sur le sable, silencieusement, comme avec la femme pécheresse. C’est pourtant à cette femme qu’il adresse un des mots les plus mystérieux de sa prédication : « Va, et ne pèche plus. »

Il ne dit pas : « Va, et ne trompe plus ton mari » ou : « Va, et ne couche plus à droite et à gauche », mais : « Va, et ne pèche plus. » Peut-être fait-il allusion à un tout autre péché qu’il est le seul à connaître, et que la femme, elle aussi, connaît. Peut-être ne s’agit-il pas des coucheries pour lesquelles les honnêtes gens sont prêts à la lapider. Peut-être est-ce une dureté de cœur, un manque de charité, une âpreté au gain. Le Christ sait quel est notre vrai péché, et il garde le secret.

*

Peccato

Nel Vangelo Cristo non parla del suicidio. D’altra parte tace su molti punti. Si accontenta di scrivere sulla sabbia, silenziosamente, come con la donna peccatrice. Ma è a questa donna che egli rivolge una delle parole più misteriose della sua predicazione: “Va’, e non peccare più”.

Egli non dice: “Va’, e non tradire più tuo marito”, oppure: “Va’, e non andare più a letto a destra e a manca”, ma: “Va’, e non peccare più”. Forse allude a tutt’altro peccato, che è il solo a conoscere, e che anche la donna conosce. Forse non sono le faccende puramente di letto, per le quali le persone oneste sono pronte a lapidarla. Forse è la durezza di cuore, la mancanza di carità, l’avidità di guadagno. Cristo sa qual è il nostro vero peccato e mantiene il segreto.

[Gabriel Matzneff, Le taureau de Phalaris, La Table Ronde 1994]

putain | matzneff

Putain

La libération n’est pas l’abandon aux pulsions chaotiques du corps et de l’esprit, mais leur maîtrise. Être un homme libre n’est pas être un homme à quatre pattes, mais être un homme debout. Ce qui nous libère est ce qui nous unifie, et non ce qui nous morcelle. Lorsqu’un homme au tempérament donjuanesque fait par amour-passion l’expérience de la fidélité, il éprouve une exquise sensation de délivrance: délivrance du mensonge, délivrance de la division, délivrance des démons qui le retenaient prisonnier.

Aujourd’hui, pour beaucoup d’hommes, la libération, c’est la partouze; et une femme libérée, c’est une femme facile, une Marie-couche-toi-là. Parce qu’ils se savent incapables de charmer les jeunes personnes, d’opérer la divine alchimie de la séduction, où l’indifférence se métamorphose en tendresse et l’hostilité en désir, ces types rêvent de femmes qui se déshabilleraient sur un claquement de doigts. Autrefois, il y avait les putains; à présent, il y a les femmes libérées. Aux yeux de tels hommes, une femme libérée est une putain qu’ils ne payent pas.

Que certains hommes se satisfassent de cette caricature de la libération est compréhensible; ce qui en revanche ne l’est pas, c’est que des femmes y prêtent la main. Je savais les femmes volontiers misogynes. Il me restait à apprendre qu’elles sont aussi masochistes. Le «Je suis putain et fière de l’être» ne relève pas de la liberté, mais de la haine de soi. Or cette haine de soi est le sentiment qui m’est le plus étranger. Moi aussi, mon besoin de conquêtes toujours renouvelées a longtemps fait de moi un Gabriel-couche-toi-là et, en quelque sorte, la putain de mes jeunes amoureuses. Mais moi, je n’en étais pas fier.

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Puttana

La liberazione non è abbandono agli impulsi caotici del corpo e della mente, ma il loro dominio. Essere un uomo libero non significa essere un uomo a carponi, ma un uomo in piedi. Ciò che ci libera è ciò che ci unifica, non ciò che ci frammenta. Quando un uomo dal temperamento di dongiovanni sperimenta la fedeltà attraverso l’amore-passione, prova una squisita sensazione di liberazione: liberazione dalla menzogna, dalla frammentazione, dai demoni che lo tenevano prigioniero.

Oggi, per molti uomini, la liberazione significa partouze; e una donna liberata è una donna facile, una-che-va-a-letto-con-tutti. Poiché sanno di essere incapaci di affascinare le giovani ragazze, di operare l’alchimia divina della seduzione, dove l’indifferenza si metamorfosa in tenerezza e l’ostilità in desiderio, questi tipi sognano donne che si spoglierebbero a uno schiocco di dita. In passato c’erano le puttane; ora ci sono le donne liberate. Agli occhi di questi uomini, una donna liberata è una puttana che non pagano.

Che alcuni uomini si accontentino di questa caricatura della liberazione è comprensibile; ciò che al contrario non lo è, è che le donne vi prestino il fianco. Sapevo che le donne erano volentieri misogine. Dovevo ancora imparare che sono anche masochiste. Il “Sono puttana e fiera di esserlo” non è libertà, ma odio di sé. Ora, questo odio di sè è il sentimento che mi è più estraneo. Anche nel mio caso, il bisogno di conquiste sempre nuove ha per lungo tempo fatto di me un Gabriel che-va-a-letto-con-tutte e, in un certo senso, la puttana delle mie giovani amanti. Ma io, non ne ero orgoglioso.

[Gabriel Matzneff, Le taureau de Phalaris, La Table Ronde 1994]

education | matzneff

Education (1)

Le mot éducation vient d’un verbe latin qui signifie « donner à manger ». Chez les anciens Romains, Édusa est la déesse qui préside à la nourriture des enfants. Qu’en est-il de nos jours ? Être un éducateur, c’est avoir quelque chose à transmettre. Or, dans notre Europe blasée, il est de mode de ne plus croire à la fécondité de la transmission, et il y a déjà longtemps que le sage n’est plus le héros que nous proposons en exemple aux adolescents. Transmettre une foi, une culture, un enseignement (au sens que Bouddha, Epicure et Jésus donnent à ce terme), tout le monde ou presque tout le monde, s’en fiche. Hic et nunc, les seuls héritages pour lesquels les gens s’excitent, sont ceux que l’ont peut inscrire sur des comptes en banque.

La parola educazione deriva da un verbo latino che significa “dare cibo”. Presso gli antichi romani Edusa è la dea che presiede al nutrimento dei bambini. Che ne rimane ai nostri giorni? Essere educatore è avere qualcosa da trasmettere. Tuttavia, nella nostra logora Europa, è di moda non credere più alla fecondità della trasmissione, e da tempo l’uomo saggio non è più l’eroe che offriamo come esempio agli adolescenti. Di trasmettere una fede, una cultura, un insegnamento (nel senso che danno a questo termine Buddha, Epicuro e Gesù ), a nessuno o quasi interessa. Hic et nunc, le uniche eredità che entusiasmano sono quelle depositate sui conti bancari.

[Gabriel Matzneff, Le taureau de Phalaris, La Table Ronde 1994]

panegirico | guy debord

«Ho anche soggiornato in un inaccessibile casolare circondato dai boschi, lontano dai villaggi, in una regione estremamente sterile di antiche montagne erose, al fondo di un’Alvernia abbandonata. Vi ho passato diversi inverni. La neve cadeva per giorni interi. Il vento l’ammassava, ne faceva grandi banchi. Delle barriere ne proteggevano la strada. Malgrado le mura esterne, la neve si accumulava nella corte. Più ceppi bruciavano insieme nel camino».

[Guy Debord, Panegirico I-II, Castelveccchi 2005]

Oltre il flâneur, oltre le derive situazioniste, quale meraviglioso testo è “Panegirico” di Debord, con la descrizione da antologia dell’inaccessibile casolare circondato dai boschi. Dove c’è tutto ciò che vogliamo: Lautréamont, Goya e Saturno, Mallarmé/Malevič, e Alice “Ma in verità non ero solo: ero con Alice”.

la carte postale | derrida

Comme c’est bien, que tu m’aies rappelé aussitôt. J’ai caressé ta voix, et encore maintenant. L’urgence s’est un peu détendue, mais s’il te plaît, viens. Laisse-les, ils n’ont pas besoin de toi, eux, pas de toi vraiment, tu vois. Moi je t’attends.

Che bello che mi hai richiamato subito. Ho accarezzato la tua voce, e ancora adesso. L’urgenza si è un po’ attenuata, ma ti prego, vieni. Lasciali, non hanno bisogno di te, non di te veramente, lo sai. Io t’aspetto. (a.r.)

[Derrida, La carte postale, Flammarion 1980.]

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Com’è bello che tu mi abbia richiamato subito. Ho accarezzato la tua voce, ed ancora adesso. L’urgenza s’è un po’ distesa, ma per piacere, vieni. Lasciali, non hanno bisogno di te, loro, non di te veramente, vedi. Io, invece, t’attendo.

Che bello che tu mi abbia richiamato subito. Ho accarezzato la tua voce, e ancora adesso. L’urgenza si è un poco calmata, ma se ti va, vieni. Lasciali, loro non hanno bisogno di te, vedi, non di te veramente. Ti aspetto.

[Mimesis 2015, 2018]

fortini | cani | straub-huillet

In alcune fondamentali immagini del film, apertamente allusive ad un passato che potrà essere anche futuro se qualcuno saprà volerlo (le montagne pacificate, l’oleandro fiorito, il panorama di Firenze, la collina del finale) c’è un continuo scambio fra “rinuncia” e “promessa”. La rinuncia, la Entsagung, si converte, anche, in promessa. L’assenza dell’uomo, dov’è più assoluta (perché anche la voce tace, come nella sequenza delle Apuane) afferma la “enorme presenza dei morti”; ma non sono soltanto quei morti, non soltanto le vittime degli eccidi nazisti. Quando il presente è visto da fuori del presente, esso diventa un luogo sul quale si possono proiettare gli spiriti passati e venturi. Ecco dunque che lo spazio delle montagne apuane implica una proposta di abitabilità; e abitabile è anche Firenze, fintanto che è veduta dalla collina. Quella proposta sommessa è però continuamente contraddetta, in altre sequenze, dal fragore del presente o dalla legge del passato, con la sua impraticabile santità (lo scampanìo, il traffico, la voce del rabbino che soverchia quella narrante). “Non qui ma altrove” è il pensiero dominante del film. In verità ciò significa: “Non oggi ma ieri e domani”. Per questo il suo intendimento profondo non è diverso da quello che era stato il mio. È detto con altri strumenti, è dilatato a maggiore significazione. La panoramica della Apuane non “dice” soltanto quel che vi è accaduto e quanta calma copra i luoghi delle stragi antiche e moderne. “Dice” anche che questa terra è il luogo abitabile per gli uomini, è quello che dobbiamo abitare. Allora Straub chiede a me di tacere. La mia voce deve scomparire perché, come è scritto in Le temps retrouvé, “cresca l’erba non dell’oblio ma delle opere feconde, sulla quale le generazioni future verranno lietamente a fare le loro ‘colazioni sull’erba’, incuranti di chi dorme là sotto”. Questo è detto nel rapporto fra i ragionamenti – o le invettive – del testo e l’attenzione (la parola è di S. Weil) della macchina da presa. Straub ha allontanato e chiuso per sempre non solo un episodio della interminabile Judenfrage ma anche un tentativo (il mio) di regolare certi conti, di sbarazzarmene. Il suo film va ben oltre il mio testo.

[Franco Fortini, Una nota 1978 per Jean-Marie Straub, in I cani del Sinai]

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Nella nota per Jean-Marie Straub, posteriore di dieci anni al libro, la scrittura di Fortini diventa sperimentale, perché l’immagine si sovrappone allo scritto, lo duplica, lo espone (nei fotogrammi) e lo fa scomparire, fa tacere il suo autore. La ‘sua’ voce che “nell’atto medesimo in cui parla di ‘realtà’ è soverchiata dall’assenza”. “L’assenza dell’uomo, dov’è più assoluta (perché anche la voce tace, come nella sequenza delle Apuane) afferma la ‘enorme presenza dei morti’.”. E se la lotta materialista ha bisogno di un “supplemento d’anima” alla stregua del paesaggio che abbaglia; così, anche “le parole smettono di far male” quando qualcosa-qualcuno spezza l’incanto-prigione del lirismo e dell’autobiografia, sconvolgendo punteggiatura e sintassi. “soverchiato dall’assenza segnando a dito con esattezza le fosse di quel che non c’è le lacune del reale in una luce stupefatta luce di cenere sulle muraglie di Firenze e le colline”.

  1. r.

brand’s haide | arno schmidt

Libertà: Il 31 ottobre del 1946 uno scrittore tedesco è libero : all’ufficio di collocamento sono contenti d’essersi sbarazzati di qualcuno; l’ufficio delle imposte di Soltau ha le mani legate, perché di base non guadagna più di 600 in un anno : basta avere una buona salute e contentarsi di poco : poi si è liberi! (Tuttavia essere felici è un altro paio di maniche! – E che mascella ispida, disgustosa e bestiale.)

La pioggia vetrificava la finestra; gli alberi intorno alla chiesa perplessi scuotevano i rami, perplessi svoltavano l’angolo, perplessi si infagottavano negli scampoli di foglie : fradicia, nera, con una tenacia implacabile, la corteccia rivestiva l’intricata creatura : le querce nude sono cose terribili, non c’è bisogno di vederle nei dipinti di Friedrich. Il cielo andava riversandosi grigio dall’est, sempre più vicino.

[Arno Schmidt, Brand’s Haide, Lavieri 2007, trad. Domenico Pinto]

la persuasione e la rettorica | michelstaedter

“Voi che cercate la prudenza, che cercate il sapere, l’affermazione assoluta, voi che cercate la pace della conoscenza, l’acutezza dello sguardo, che cercate il piacere:

il piacere è il fiore del dolore, il dolce è il fiore dell’acerbo, l’acutezza è il fiore della profondità, la pace è il fiore dell’attività, l’affermazione è il fiore della negazione, il sapere* è il fiore della fame, la prudenza è il fiore del coraggio; poiché il dolore non cerca il piacere ma il possesso, la profondità non cerca l’acutezza ma la vita, l’attività non vuole la pace ma l’opera, la negazione non vuole affermare ma negare, la fame non vuole il sapore ma il pane, il coraggio non vuole la prudenza ma l’atto.”

(Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Adelphi 1982)

* sapore

In nota: forse sapere, che si legge con chiarezza… sta erroneamente per sapore, come sembrerebbe confermato dalla frase successiva  “la fame non vuole il sapore ma il pane”. 

le verger | harry mathews

Arrivò… proprio mentre il frutteto cominciava a fiorire.

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Ricordo d’essere rientrato a casa con Georges Perec dopo cena per fumare erba e ascoltare musica classica – opere grandiose, come il Requiem di Brahms – sdraiati sul tappeto del soggiorno, rotolandoci di piacere nei passaggi culminanti. In quei momenti, avrei voluto tenerlo tra le mie braccia.

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Ricordo che durante la nostra prima cena dopo la fine della sua psicanalisi, Georges Perec mi disse che adesso, quando scendeva in strada per imbucare una lettera, era conscio che stava scendendo in strada per imbucare una lettera.

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Ricordo di aver visto Georges Perec nella sua bara all’obitorio dell’ospedale: il suo viso era raggrinzito e serio, la bocca chiusa in modo innaturale (come se le labbra fossero state cucite per evitare che la mascella si afflosciasse), era stato pettinato in modo che i suoi capelli si attaccassero alla testa (quale impiegato di pompe funebri avrebbe potuto concepire il suo “afro”?) Catherine B. esclamò: “Ma non è lui!” e gli passò le dita tra i capelli per scompigliarli.

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Ricordo che durante uno dei nostri ultimi pasti insieme, Georges Perec espresse la sua tristezza di non avere una famiglia. Ad esempio, non sarebbe mai diventato l’erede di qualcuno. Gli promisi di metterlo nel mio testamento se questo poteva consolarlo.

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Ricordo che quando conobbi Georges Perec aveva un “problema di donne”. Sognava una donna bella, intelligente e realizzata che, nel bel mezzo dei suoi viaggi in giro per il mondo, apparisse di tanto in tanto davanti alla sua porta per offrirgli un amore assoluto, per poi scomparire.

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Ricordo di essermi svegliato undici giorni dopo la morte di Georges Perec per rendermi conto che stavo trasformando il ricordo di questa morte nella convinzione che ogni giorno sarebbe stato guastato in anticipo – una sorta di “angoscia del risveglio” ben comoda di cui ero tuttavia riuscito a sbarazzarmi sette anni prima.

(Harry Mathews, Le Verger, POL 1986)

luogo | david cooper

“… Noi possiamo essere quel luogo che non esiste più, da dove venne l’ondata di marea di Hokusai. «Noi» gettiamo un sasso nella piscina che è «noi». La pietra affonda. Noi siamo «l’affondare» e siamo le increspature (le onde della marea, tsunamis) che si allargano dal punto di contatto tra la pietra e la superficie della piscina che non è più lì perché il sasso l’ha lasciata per un luogo nel quale neppure noi siamo (il fondo di noi stessi). Una vera fenomenologia di scienza fisica deve occuparsi dell’apparire dell’azione e dello scomparire degli oggetti. Una vera fenomenologia dell’io è basata sulla realizzazione della sua non-apparenza affiorante in esperienze critiche di assenza. Per dirla in altro modo, l’io è sempre il luogo dal quale siamo venuti e verso il quale andiamo, ma l’apparire della nostra venuta è lo scomparire di quel luogo, che rimane sempre senza esistenza sia nel passato che nel futuro e, con maggior evidenza, nel presente”. (David Cooper, La morte della famiglia, Einaudi 1972).

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Ritorneremo [nel luogo] da dove siamo venuti.

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du  bon  usage de  la  décapitation | pierre guyotat

Vendredi Saint mille neuf cent quatre-vingt, Italie, Ombrie, ruines romaines de Carsulae, près Terni ville  natale  de Tacite. Le Livre, Histoires de Samora Machel fraîchement achevés. Cinq dures nuits à ciel ouvert dans la  boue glacée des  Abbruzes. Pain, huile, sel. À nouveau, comme après chaque livre, cette force qui me pousse, au risque d’y perdre la  raison ou la  vie, à retourner dans l’un des  lieux possibles  de sa genèse pour le pétrifier, le dessécher, le  stériliser, le rendre inutilisable à jamais pour un  livre nouveau. Moi donc, abandonné des  hommes et de Dieu, voyant tout mais n’étant vu de rien. Un  compagnon  : mon double, jeune  archéologue iroquois.

Troisième heure de l’après-midi : le sang se retire de toutes mes veines. Une fois de plus, dans ces années si lourdes, le Poids du Monde sur ma nuque. Où en finir ? Où, comment disparaître sans laisser de traces ni dans la terre ni dans la mémoire des plus proches ? Par pitié, que je trouve le  lieu du monde le  plus originel, le plus vierge pour m’y faire disparaître en beauté ! Ce lieu n’existe pas. Serait-ce le giron du Créateur ? Pour y sauter dedans, au plus vite, où, comment, pour quoi, par qui me faire martyriser ?

Lâchant là le ruban décamètre avec quoi j’aide l’autre à mesurer la ruine de cet espace latin dont neuf mois auparavant je mesurais encore en métrique poétique la monumentalité sexuelle métaphysique en vie, je précipite ce qui me tient lieu de corps, son nimbe peut-être déjà, vers la limite paléochrétienne du champ de fouilles…

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Venerdì Santo millenovecentottanta, Italia, Umbria, rovine romane di Carsulae, vicino a Terni, città natale di Tacito. Il libro, Histoires de Samora Machel, appena finito. Cinque notti dure a cielo aperto nel fango ghiacciato degli Abruzzi. Pane, olio, sale. Ancora una volta, come dopo ogni libro, questa forza che mi spinge, a rischio di perdere la ragione o la vita, a ritornare in uno dei possibili luoghi della sua genesi per pietrificarlo, disseccarlo, sterilizzarlo, renderlo per sempre inutilizzabile per un nuovo libro. Io, allora, abbandonato dagli uomini e da Dio, vedo tutto ma non sono visto da nulla e da nessuno. Un compagno: il mio sosia, un giovane archeologo irochese.

Ora terza del pomeriggio: il sangue si ritira da tutte le mie vene. Una volta di più, in questi anni difficili, il Peso del Mondo sulla mia nuca. Come finirla? Dove, come sparire senza lasciare tracce né nella terra né nella memoria di chi mi è più vicino? Per pietà, che io possa trovare il luogo più originale e più vergine del mondo per scomparirvi in bellezza! Questo posto non esiste. Potrebbe essere  il grembo del Creatore? Per saltarvi dentro, il più rapidamente possibile, dove, come, per cosa, da chi farmi martirizzare?

Lasciando lì il nastro decametrico con cui aiuto l’altro a misurare la rovina di questo spazio latino del quale nove mesi prima misuravo ancora in metrica poetica la monumentalità sessuale e metafisica ancora viva, faccio precipitare ciò che fa le veci del mio corpo, forse già la sua aureola, verso il limite paleocristiano del campo di scavo…

 (Pierre Guyotat, Divers, Les belles lettres 2019)